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Writer's pictureLuigi Gioia

E se in realtà fossimo buoni


Solo la scorsa settimana, leggendo il libro piacevolmente provocatorio di Rutger Bregman, Humankind. A Hopeful History (tradotto in italiano con il titolo Una nuova storia -non cinica- dell’umanità) ho scoperto che arrossire è "l'unica espressione facciale esclusivamente umana". Questo è un libro basato su una mole impressionante di ricerca scientifica. Tuttavia, l’intenzione dichiarata del suo autore di voler difendere una certa visione dell'umanità ci invita a essere cauti nell’adottare troppo rapidamente le sue conclusioni. Questo è il motivo per cui ho deciso di considerarlo piuttosto come una ipotesi basata su solidi argomenti che potremmo esprimere in questo modo: e se provassimo a concepire gli esseri umani non come intrinsecamente egoisti e condannati al male? E se invece li considerassimo come naturalmente buoni, predisposti a convivere pacificamente con altri esseri umani, inclini ad aiutarsi e sostenersi a vicenda? L’arrossimento è citato come prova a favore di questo argomento: dal punto di vista della psicologia evolutiva, esso dimostra che gli esseri umani sono "tipicamente sociali", che "si preoccupano di ciò che pensano gli altri, il che favorisce la fiducia e consente la cooperazione" (69).

Cosa succede allora quando iniziamo a pensare all'umanità in questo modo?

In primo luogo, questa ipotesi smaschera il nostro pregiudizio negativo: abbiamo la tendenza a concordare acriticamente con la narrativa culturale dominante sulla corruzione umana. Pensiamo che sia più eroico e virtuoso, in qualche modo, sposare il cupo ritratto dell'umanità reso popolare da romanzi come Il Signore delle mosche di William Golding e Il gene egoista di Richard Dawkins. Alcune delle pagine più rincuoranti del libro di Bregman sono quelle che riportano cosa è realmente accaduto quando un gruppo di adolescenti naufragò su un'isola remota per un anno: non solo nessuno fu ucciso, ma svilupparono ottime strategie per risolvere positivamente i conflitti e vivere in armonia. Per quanto riguarda la teoria di Dawkins, la maggior parte dei biologi oggi riconosce che effettivamente "la lotta e la competizione [sono] un fattore nell'evoluzione della vita", ma sosterrebbe anche che "la cooperazione è molto più fondamentale" (72).

Questo ritratto non contraddice la Bibbia? Non ci è detto in essa che “Il Signore vide che la malvagità degli esseri umani era grande sulla terra e che ogni intenzione dei pensieri del loro cuore era continuamente solo male. E il Signore si pentì di aver creato gli esseri umani sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo”? (Gen 6.5f)

In realtà, il problema non è se siamo capaci di commettere il male, cosa che nessuno, incluso Bregman, negherebbe. La domanda da porsi è piuttosto se siamo naturalmente inclini all'egoismo piuttosto che alla cooperazione, all'avidità piuttosto che alla condivisione, alla violenza piuttosto che al desiderio di pace.

Trovo rivelatore, a questo proposito, che una delle immagini più ricorrenti nella Scrittura per spiegare il male sia quella dell'“indurimento del cuore”. Dolorosamente e con insistenza, il Signore continua a implorarci: "Oggi, se ascoltate la [mia] voce, non indurite i vostri cuori" (Sal 95.7f). Questo implica che ci comportiamo male non perché i nostri cuori sono malvagi, ma perché li induriamo. Il male non è innato in noi. La prova è che arriviamo a commetter il male solo a tappe, facendo violenza al nostro cuore, costringendoci a diventare ciechi e sordi al bisogno dei nostri fratelli e sorelle. Una volta che abbiamo indurito il nostro cuore, sembra che siamo inclini al male perché siamo diventati capaci di soffocare la voce della nostra coscienza.

Dal regno della fisica, tuttavia, ci giunge un immagine consolante: quando si tratta di materiali, la durezza non è una misura della loro invulnerabilità, ma al contrario di quanto facilmente possono essere graffiati o scalfiti. Sappiamo con quanta facilità i diamanti, uno dei materiali più duri al mondo, possano essere tagliati da coloro che sono diventati esperti nell’identificare i loro punti strutturali più deboli.

Il nostro Dio è l'esperto tagliatore di diamanti che considera la nostra durezza di cuore non un ostacolo ma un'opportunità. Laddove siamo tentati di vedere solo perversione, lui già intravede il gioiello prezioso, scintillante e levigato.




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