Gli Atti degli Apostoli ci raccontano la storia della nascita della Chiesa dopo che i discepoli avevano ricevuto dallo Spirito il coraggio e l'audacia per proclamare la buona notizia che Gesù era risorto, vivo e che attraverso di lui Dio stava cambiando la storia. L'aspetto più sorprendente di questa storia è la grande povertà di risorse della Chiesa in questa fase iniziale. Le persone chiamate a proclamare la buona notizia a tutte le nazioni non erano grandi oratori o specialisti in mezzi di comunicazione ma umili pescatori senza particolare istruzione. Non costruirono chiese attendendo che la gente venisse da loro, ma erano costantemente in viaggio. Non potevano stare in nessun posto per più di qualche giorno perché non appena iniziavano a parlare di Gesù erano allontanati dalle persecuzioni. Quando giungevano in una nuova città, spesso avevano solo il tempo di proclamare il nocciolo del messaggio cristiano, cioè che "Gesù è il Signore ed è risorto dai morti". Potremmo pensare che un'istruzione così breve non possa avere un impatto duraturo. Invece accadde esattamente il contrario: le comunità cristiane rimasero fedeli, iniziarono rapidamente a proclamare il Vangelo a loro volta in altre città e il numero dei cristiani cominciò a crescere in maniera esponenziale.
I due segreti di questa straordinaria fecondità sono il "kerygma" e la perseveranza.
"Kerygma" significa "annuncio" e designa il l’essenza del messaggio cristiano. Se volessimo esprimere il nostro credo in una sola frase cosa sceglieremmo? Gli apostoli non avrebbero esistato a rispondere in questo modo: Gesù è Dio, è entrato nella nostra storia diventando uno di noi, ci ha amati al punto di morire per noi, il suo amore era più forte della morte e per questo è risorto dai morti, è ancora vivo, rimane con noi fino alla fine dei tempi e riconosciamo la sua presenza credendo in lui.
Questo annuncio trasforma la nostra vita quando crediamo in esso e restiamo fedeli attraverso la nostra perseveranza. Coloro che accettano questo messaggio e credono in esso ricevono un nuovo cuore, nuovi occhi e nuove orecchie per riconoscere Dio presente e attivo in mezzo a loro, ma rimangono anche esposti alla non evidenza di Dio come il resto dell'umanità. Essere discepoli diventa allora una risoluta determinazione a fidarsi di Dio e sperare tutto da lui. Questo è ciò che Gesù chiede costantemente nei Vangeli: "Non abbiate paura, continuate a credere" (Mc 5,36). Dobbiamo continuare a credere in Gesù, affidandoci a lui anche quando sembra addormentato o lo vediamo morto sulla croce o siamo delusi come i discepoli di Emmaus. Questi sono i tempi in cui dobbiamo restare saldi e perseverare. Così la perseveranza nella fede diventa la virtù fondamentale della nuova umanità, il nostro modo di corrispondere alla fedeltà dell'amore di Dio per noi.
Epiche umane come l'Odissea o l’Eneide celebrano le gesta di eroici guerrieri e le loro virtù di audacia e coraggio in battaglia. Con il cristianesimo nasce una nuova epopea che invece esalta coloro che combattono la battaglia della fede. Un magnifico esempio di questa nuova epopea si trova nell'undicesimo capitolo della Lettera agli Ebrei, in cui si afferma che "la fede è il fondamento di ciò che si spera, la prova di ciò che non si vede" (Eb 11: 1) e ammira la tenacia di un certo numero di personaggi dell'Antico Testamento: Abele, Enoc, Noè, Abramo, Sara, Giacobbe, Giuseppe e molti altri. Questi eroi sono la nostra nuova famiglia, i nostri antenati nella fede, quelli che "perché credettero, furono approvati da Dio "(Eb 11,2). Siamo invitati ad imitare la loro perseveranza nella fede fissando "i nostri occhi su Gesù, autore e perfezionatore della nostra fede in modo che non ci stanchiamo perdendoci d’animo "(Eb 12,2f). Quali che siano gli strumenti a nostra disposizione per la diffusione del Vangelo oggi o le nuove sfide che affrontiamo nel nostro mondo, il libro degli Atti degli Apostoli ci insegna che la nostra più grande risorsa rimane la nostra fede in Dio e l'audacia con la quale continuiamo a raccontare a tutti gli eventi pasquali.
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