Mi si potrebbe rimproverare di giocare la carta esoterica se menziono il mio coinvolgimento in quello che, nella Chiesa RC, viene chiamato processo di canonizzazione, cioè la procedura che conduce a dichiarare che una persona deceduta è un santo. Non dimenticherò mai il momento in cui mi ritrovai a piazza San Pietro durante una cerimonia pontificia, a pochi metri da Papa Benedetto XVI nel 2009, quando proclamò santo Bernardo Tolomei, il fondatore dell'ordine monastico di cui facevo parte allora. Fino a quel momento era stato solo “beato” e ci erano voluti molti secoli per arrivare a poterlo dichiarato santo perché nessun miracolo era ancora avvenuto grazie alla sua intercessione (questo è uno dei requisiti per la canonizzazione). Si trattava di un evento molto personale per me poiché circa 20 anni prima ero stato tra i pionieri della riscoperta della sua figura e della sua vita traducendo dal latino e pubblicando documenti e lettere del XIV secolo che erano stati fino ad allora per lo più dimenticati o la cui importanza era stata sottovalutata. In questo modo, avevo contribuito a riscattare la sua immagine dagli strati artificiali (e spesso ridicoli) sotto i quali gli agiografi barocchi avevano nascosto la sua vera identità e che erano stati acriticamente perpetuati e amplificati per secoli. Questa esperienza mi insegnò che l'agiografia, cioè gli scritti che mirano a esaltare la santità di una persona, tende ad essere altamente selettiva, si affida a stereotipi e riduce o fa scomparire del tutto l'umanità dello sfortunato personaggio del quale si intende provare, come la procedura richiede, le cosiddette virtù “eroiche”. Questo spiega una massima che ho sentito spesso ripetere da monaci saggi, cioè che "i santi vanno ammirati ma non imitati".
Questo non significa che non creda alla santità, anzi. Ho avuto la fortuna di vedere la santità all’opera molte volte in situazioni e persone nella mia vita. Ma nello stesso tempo ho imparato che non è raccomandabile attribuirla troppo facilmente a qualcuno, vivo o morto che sia - qualcosa che la Regola di San Benedetto riconosce quando, non senza una certa ironia, consiglia al monaco di "non aspirare ad essere chiamato santo prima di divenirlo veramente”(4.62).
Mi piace pensare alla santità non come uno stato o un tratto che caratterizzerebbe tutta la vita di una persona, ma piuttosto come ad una novità che sboccia inaspettatamente nei luoghi più impensati. Non abbiamo bisogno di diventare santi e non credo che ci riusciremmo mai. Ma possiamo scoprire di essere capaci di agire in modo ‘santo’ in certe circostanze ed essere i primi a meravigliarci di come sia potuto succedere. Qui mi viene in mente il titolo di un famoso libro di C. S. Lewis, Sorpreso dalla gioia, e trovo che si possa ugualmente dire che dobbiamo essere pronti ad essere “sorpresi dalla santità”.
Spero di non essere troppo irriverente se confesso che uno degli esempi più eloquenti di questo tipo di santità che abbia incontrato è il personaggio di Dora nell'affascinante romanzo di John Steinbeck Cannery Row. Il romanzo è ambientato durante la Grande Depressione a Monterey, in California, e prende in prestito il titolo da una strada fiancheggiata da conservifici di sardine nota come appunto come Cannery Row. Dora gestisce un ristorante che è anche un bordello, cosa che certamente potrebbe non giocare a suo favore in un processo di canonizzazione. Tutti sono d'accordo nel riconoscere che ha degli standard: non vende superalcolici, non permette l’uso di parole volgari nel locale, mantiene prezzi onesti, non manda mai via le ragazze anche quando diventano vecchie o si ammalano. Soprattutto durante la Grande Depressione, molte donne furono forzate a prostituirsi dalla fame e dalla miseria. Questo lavoro non sarebbe stato necessario se non ci fossero stati uomini affamati non tanto di sesso quanto di qualcuno con cui parlare. Steinbeck ritrae queste prostitute come terapeute che svolgono un ruolo umanizzante necessario in una società rigidamente puritana e afflitta da un maschilismo tossico. I “veri” uomini non potevano permettersi di ammettere il loro bisogno di intimità e di affetto, non solo con i loro amici, ma soprattutto con le loro mogli. Potevano concederselo solo nello spazio sicuro del salotto di una prostituta. Steinbeck era un acuto osservatore della sua nativa California e anche se questi sono personaggi immaginari, sono tratti dalla vita reale. Le prostitute avevano una consapevolezza unica della situazione di indigenza delle persone e, quando era necessario, aiutavano con grande generosità. Durante i giorni più bui della Grande Depressione, vediamo Dora pagare le spese alimentari e dare da mangiare ai figli di famiglie nel bisogno.
Era una santa? Probabilmente no. Queste azioni sono raggi di santità? Direi che lo sono e che in maniera tanto più sorprendente perché brillano laddove ce lo si aspetta di meno.
Questo è ciò che mi dà speranza quando leggo il modo in cui Gesù descrive la santità nella pagina del Vangelo di Matteo nota come le Beatitudini. Non so se sarò mai "puro di cuore", o se raggiungerò livelli di mitezza e perdono tali da meritare mai la ricompensa promessa ai miti e ai misericordiosi - né penso che sarò mai così umile da poter essere descritto come un "povero in spirito". So anche però, che essere santi non significa essere perfetti, perché questo non è possibile in questa vita. Proprio come non possiamo essere completamente malvagi, così non raggiungeremo mai un livello di bontà totale.
Nello stesso tempo so anche, di me come della maggior parte delle persone che ho incontrato nella mia vita, che quando ci viene fornita l’ispirazione giusta, nelle giuste circostanze e grazie alla giusta forma di incoraggiamento, siamo capaci di livelli sorprendenti di generosità, mitezza, altruismo e perdono. In altre parole, se da una parte la santità non è un attributo che sono propenso ad attribuire alle singole persone, d’altra parte sono persuaso che possiamo raggiungerla insieme, come comunità, incoraggiandoci ad essere generosi, amorevoli, e misericordiosi gli uni con gli altri a aiutandoci a non scoraggiarci mai quando, per qualsiasi motivo, non ci riusciamo - perché in queste occasioni diamo ad altre persone l’occasione di farlo per noi e possiamo essere loro grati. Questo è il ritratto della santità condivisa che Paolo delinea quando ci invita a "diventare maturi, incoraggiarci a vicenda, essere concordi e vivere in pace perché viva in mezzo a noi il Dio dell'amore e della pace" (2 Cor 13.11 ). Questo è il modo nel quale, come con un ospite inatteso e gradito, saremo sorpresi dalla santità.
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