Per quasi vent'anni ho vissuto in un monastero benedettino ai piedi dei Pirenei, nel sud-ovest della Francia. La mia stanza era situata sotto un tetto in legno dove nidificavano delle colombe che, essendo colombe, tubavano incessantemente. In questo monastero il silenzio era osservato rigorosamente e la profonda quiete dell’ambiente rurale circostante rendeva percepibile qualsiasi rumore, soprattutto se proveniva da un luogo situato direttamente sopra il soffitto della propria stanza. Il più delle volte, impegnato con diverse cose, non ci facevo attenzione. Questo cambiava però durante il tempo quotidiano di preghiera silenziosa mattutina. Amavo molto quella mezz'ora di meditazione, quando era ancora buio e il silenzio era avvolgente – a parte il fastidioso rumore di queste colombe! Ad un certo punto cominciai a trovarlo così irritante e distraente che non riuscivo più a pregare. Alcune volte, invece di tornare nella mia stanza, cercai di trascorrere il mio tempo di preghiera silenziosa nella cappella, ma vi faceva troppo freddo. Quindi, come si può immaginare, non ero molto contento.
Poi un giorno un nesso si produsse nella mia mente. Uno dei cantici che ritornavano settimanalmente nella nostra preghiera mattutina era una preghiera serena e dolente del re Ezechia, riportata nel 38° capitolo del libro di Isaia. Questo cantico paragona la preghiera al verso di una colomba. La traduzione italiana dice "Io gemo come una colomba", ma l'avevo memorizzato nella versione latina che dice meditabor ut columba (Is 38,14), "Medito come una colomba". Quella mattina, durante la mia preghiera silenziosa, scoprii che c'era un modo migliore di affrontare questo fastidio di quello di cercare di sfuggirlo. Grazie a questa frase, mi resi conto che in effetti c'è qualcosa di meditativo, riflessivo, introspettivo nel verso di una colomba. che può avere un effetto calmante ed effettivamente aiutare a pregare. Cosi, queste colombe diventarono le compagne della mia preghiera. Iniziai a fare tesoro del loro verso caratteristico a tal punto che ora ogni volta che lo sento fa sorgere in me il desiderio di pregare.
La mentalità che mi ha aiutato a trasformare questa piccola irritazione in preghiera mi sembra simile a ciò che Gesù dice nel 13° capitolo del Vangelo di Matteo, dove descrive il regno dei cieli in questo modo: “è come un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra” (Mt 13,45fs).
Il significato principale di questa parabola è che nulla è più prezioso dell'accoglienza, della presenza e dell'azione di Dio nella nostra vita e che per questo premio vale la pena vendere tutto ciò che abbiamo.
Ma la parabola sottintende anche che il commerciante trova la perla solo perché ha adottato questa ricerca come uno stile di vita. Il significato della parabola è quindi che una comprensione più profonda del modo in cui Dio è presente e agisce nelle nostre vite non si produrrà per caso, non risulterà da una ricerca pigra, intermittente, tiepida, ma richiede dedizione, la perseveranza di tutta una vita, risolutezza e soprattutto molta immaginazione.
Quest'ultimo aspetto, l'immaginazione, è ciò che trascuriamo di più nella nostra fede e nelle nostre vite cristiane. Spesso pensiamo che il modo corretto di crescere nella nostra fede, nella nostra vicinanza a Dio e nel nostro amore, sia attraverso lotte, sforzi, risoluzioni – comprimendoci per passare attraverso la "porta stretta" e la "via ardua" (cfr. Mt 7,13) così care ai puritani di tutti i tempi. Sfortunatamente, questo rigore di solito ci conduce a giudicare gli altri, a mancare di compassione, ci intristisce e, soprattutto, ci rende incapaci di cogliere lo strano modo in cui Dio è presente e agisce in mezzo a noi – quello che il Vangelo chiama il Regno dei cieli o di Dio.
Il regno di Dio non è uno spazio, un territorio, un'entità politica, come per esempio “il Regno Unito”, ma è usato nei Vangeli per designare il modo di regnare di Dio, cioè di condurci a sé e alla pienezza della vita che ha in riserva per noi. Dovremmo tradurlo "stile di Dio", "carattere di Dio", in un modo simile all'espressione: “Il regno della regina Elisabetta II”, con la quale intendiamo il periodo storico che porta l’impronta del modo caratteristico di governare della regina, del suo stile, della sua personalità.
Se dovessimo esprimerlo con una parabola, potremmo dire che il regno (il modo di regnare) della regina Elisabetta può essere paragonato a una nave da crociera che solca l'oceano: quali che siano le tempeste, mantiene saldamente la traiettoria e irradia stabilità, continuità e affidabilità. Questa è una descrizione delle sue qualità ma, si spera, anche del comportamento che ispira nei suoi sudditi e, più in generale, in coloro che la ammirano.
Quando si tratta della descrizione del modo in cui Dio regna, del suo stile, della sua personalità, del suo modo di agire, il Vangelo ne sottolinea il riserbo - proprio come un grano di senape e il lievito nella farina, può essere facilmente ignorato o sottovalutato. Può essere percepito solo da coloro che intraprendono una ricerca che dura tutta una vita, che prestano davvero attenzione, che sanno ascoltare e superare le loro idee preconcette su come un dio dovrebbe agire.
Come sappiamo, coloro che hanno maggiormente frainteso il messaggio e l'identità di Gesù sono stati i rigoristi del suo tempo, i farisei, e gli esperti in comportamento divino, gli scribi. Il problema principale di queste persone era che pensavano di sapere e quindi non cercavano più. Avevano cercato in gioventù, ma a un certo punto vi avevano rinunciato e si erano trincerati dietro le loro posizioni teologiche ed etiche, avevano iniziato a imporle agli altri, giudicando e punendo chiunque ritenessero non etico e non ortodosso secondo i loro principi. Avevano abbracciato la ricerca solo in via provvisoria e avevano idee e regole ben definite per descrivere e circoscrivere il modo in cui un dio dovrebbe regnare.
Avrebbero detto che il Regno di Dio (il modo in cui Dio regna) può essere paragonato alla guida di un'auto: se uno conosce il codice della strada e lo osserva rigorosamente, raggiunge la sua destinazione in sicurezza ed evita di essere multato. Se uno impara queste regole e le segue diventa giusto, cioè “è a posto”.
Gesù non era un anarchico, non avrebbe voluto che infrangessimo le regole - e tuttavia, come sappiamo, afferma esplicitamente che se la nostra giustizia, vale a dire la nostra attenzione al modo in cui Dio regna, “non supera quella degli scribi e dei farisei non entreremo mai nel regno dei cieli"(Mt 5,20) - per la semplice ragione che non lo vedremo nemmeno, che ignoreremo o sottovaluteremo il suo carattere insolito, inaspettato e riservato.
Ecco perché siamo invitati a imitare il commerciante consumato dalla sua passione per le perle. Sa che la sua ricerca non finirà mai - e possiamo essere sicuri che anche quando ha trovato una perla inestimabile, riprende immediatamente la sua ricerca perché sa che ce ne solo altre ancora più belle e inestimabili. Il suo amore per le perle alimenta quello per la ricerca considerata non come uno sforzo provvisorio ma come uno stile di vita.
Ciò è confermato dalla bella conclusione del 13° capitolo di Matteo, in cui Gesù chiede ai suoi discepoli se hanno capito le sue parabole e, velleitari come sempre, rispondono sbrigativamente di si.
Era ovvio che non avevano capito!
Non si possono capire queste parabole quando le si ascolta per la prima volta. La loro semplicità è fuorviante. Esse rivelano la loro saggezza solo a coloro che, come il nostro commerciante, continuano a interrogarle e a ruminarle - che investono immaginazione e creatività nella loro esplorazione. Ecco perché Gesù dà questo consiglio ai suoi discepoli: queste parabole possono essere comprese solo da un nuovo tipo di scriba appositamente addestrato per riconoscere il regno dei cieli, cioè lo stile e la personalità di Dio - lo scriba in grado di tirare “fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52).
Questo ci incoraggia a essere fedeli alle nostre tradizioni di interpretazione (ciò che si è rivelato prezioso grazie alla prova del tempo e che Gesù chiama "le cose antiche"), ma allo stesso tempo come un invito a non essere mai soddisfatti delle perle che abbiamo già scoperto: per quanto inestimabili possano sembrare - ci saranno sempre possibilità più stimolanti, quello che Gesù chiama “le cose nuove”.
Come per il nostro commerciante, non siamo invitati tanto a cercare il risultato quanto ad amare il processo, perché questo è ciò che ci fa crescere come persone e come cristiani: non appoggiarci sull'illusione di avere mai catturato questo "regno dei cieli" una volta per tutte o, peggio ancora, di averlo stabilito sulla terra, ma di gioire della sua elusività, della sua natura paradossale, dei modi misteriosi in cui cresce e dei modi frustranti in cui sfida costantemente le nostre opinioni su quale dovrebbe essere il modo corretto di "regnare".
Il tesoro dal quale tiriamo fuori "il vecchio" e "il nuovo" è questa stessa ricerca.
Quindi, tornando alle mie colombe, penso che mi abbiano insegnato proprio questa lezione. Le perle, come sappiamo, sono state tradizionalmente associate alla saggezza, al punto da diventare la sua unità di misura - parliamo di "perle di saggezza". Ecco perché, per quanto preziose siano le perle che abbiamo trovato, continuiamo a cercare, perché la ricerca della saggezza non finisce mai.
Penso che la ragione dell'associazione tra perle e saggezza abbia qualcosa a che fare con il modo in cui le perle sono prodotte.
Sono l'unica pietra preziosa formata e trovata all'interno di una creatura vivente, che risulta da un processo vivente. Come sappiamo, si formano quando un irritante, che di solito è un granello di sabbia, entra nel guscio di un'ostrica e non può essere espulso. L'ostrica isola il rischio rappresentato dall'intruso rivestendolo di madreperla. Invece di espellere l'irritante, lo abbraccia, lo circonda e in questo modo lentamente lo trasforma nella gemma bianca e quasi perfettamente sferica tanto apprezzata sin dai tempi antichi. Diamanti, rubini, smeraldi devono essere tagliati e lucidati per farne risplendere la bellezza. Le perle sono rese belle dal processo vivente che le produce.
Qui percepiamo l'eco della memorabile frase di Paolo nella Lettera ai Romani: "Sappiamo che tutto contribuisce al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28) o, che è lo stesso, "di coloro che sono amati da Dio”, che accolgono l'azione e la presenza amorevole di Dio nelle loro vite, il Regno di Dio.
È così che il fastidioso verso delle mie colombe passò dall’essere un ostacolo per la mia preghiera a "contribuire al mio bene". Scoprii che un modo per cercare le perle, cioè la saggezza, è imitare il processo naturale dell'ostrica: invece di rimpiangere, combattere, ignorare ciò che ci irrita, fa male ed esaspera, esiste un altro modo di reagire. La nostra fede ci offre molte più opzioni e risorse di quanto immaginiamo per affrontare lotte, dispiaceri, e talvolta sofferenze e dolori nella nostra vita. La consolazione di Dio verrà sempre, spesso in modi che ignoriamo o sottovalutiamo solo perché non prestiamo attenzione abbastanza, non cerchiamo in modo assiduo e soprattutto con creatività e con passione.
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