Ogni volta che chiamiamo Dio “Padre” affermiamo qualcosa sul Signore, vale a dire che ci ama come una madre e come un padre. Così facendo però simultaneamente affermiamo qualcosa anche su noi stessi, sulla nostra identità e sulla nostra eredità. Ogni volta che dico “Padre” affermo allo stesso tempo che “sono amato”, che “c'è un'eredità, un tesoro, una benedizione pronta per me”, che “so chi sono, dove sto andando, che significato dare alla mia vita”.
Il riferimento a un padre e una madre può essere fonte di gioia ma spesso anche causa di conflitto interiore e di angoscia. Molti hanno relazioni dolorose con i loro genitori biologici. Molti altri non hanno più una madre o un padre o non li hanno mai conosciuti. Ma quando Gesù ci insegna a chiamare Dio Padre o a vedere Dio come Madre, capovolge i riferimenti umani. Non ci chiede di immaginare il nostro Padre celeste secondo il modello dei nostri genitori biologici. Al contrario, Dio Padre diventa il modello a partire dal quale siamo aiutati a cambiare la nostra percezione della maternità e della paternità terrene. Anche se i nostri genitori non fossero stati esemplari, se avessimo avuto un rapporto conflittuale con loro o non li avessimo mai conosciuti, la nostra fede ci porta guarigione, riconciliazione e ci aiuta ad accogliere i doni della vera maternità e della vera paternità.
La verità sull'identità del Padre ci viene rivelata dal Figlio, Gesù. Ci dice: "La parola che ascolti non è mia, ma viene dal Padre che mi ha mandato" (Gv 14,24). Ci chiede di rallegrarci all’idea che lui sta andando verso il Padre, perché in lui e con lui andiamo dal Padre anche noi. Come risultato della nostra unione con il Figlio, siamo già vicini al Padre già ora. Gesù ci precede, ma promette di tornare, di prenderci con sé e di guidarci alla presenza del Padre: "Vado via e vengo da te" (Gv 14,28).
Mentre attendiamo il suo ritorno, cresciamo nella nostra somiglianza con il Padre grazie allo Spirito che Gesù ci ha inviato. La prima lettera ai Corinzi dice: "Chi conosce i pensieri di una persona se non il loro spirito dentro di loro?". Ora, poiché abbiamo lo Spirito di Dio in noi, possiamo conoscere Dio e possiamo vedere tutto dal punto di vista di Dio: "La persona che ha lo Spirito è capace di discernere ogni cosa" (cfr 1 Cor 2,11-15). E ciò che lo Spirito ci permette di conoscere prima di ogni altra cosa e in un modo completamente nuovo è appunto Dio, perché ce lo fa percepire non più come un essere lontano e assente ma come nostro Padre e come nostra Madre. Sapere di avere un Padre e una Madre così, di avere un Dio per il quale non siamo servi, ne semplici creature, ma realmente figli, ci rasserena, ci da pace, la pace promessa da Cristo: " Ti lascio la mia pace, ti do la mia pace" (Gv 14,27). Traduciamo questa parola pace con “serenità”, la serenità di coloro che si sanno amati, protetti, accompagnati, riconciliati.
Nel vangelo ci è detto che ci sono due aspetti in questa pace: è pace con Dio ed è pace da Dio.
Prima di tutto è pace con Dio. Possiamo essere sereni perché siamo in pace con il Padre, cioè riconciliati con lui. Nel salire al cielo, Gesù dice: "Sto ascendendo da mio Padre e da tuo Padre, dal mio Dio e da quello che da ora in poi è anche il tuo Dio perché si è donato completamente a te” (Cfr. Jn 20.17). Dio non è più solo il Padre di Gesù, ma ora è anche nostro Padre. Gesù ci unisce a se stesso: è venuto come il buon pastore per cercare le pecore smarrite, metterle sulle sue spalle e riportarle all'ovile. Gesù viene come una madre che ci stringe a lei “come una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali’ (Mt 23,37), che ci consola “come una madre consola il suo bambino” (Is 66,13).
Il secondo aspetto della pace, della serenità che Gesù ci dona è che viene da Dio. È la serenità che scopriamo in noi stessi quando ci rendiamo conto che siamo amati da Dio come il Padre che vede nel segreto e si prende cura di noi: “Il Padre sa di cosa hai bisogno ancora prima che tu glielo chieda” (Mt 6.8). È la serenità che proviamo quando capiamo che Dio ci ama come una madre di un amore tale da risolvere qualsiasi ambiguità che potremmo aver sperimentato nelle nostre esperienze terrene di maternità: come dice il profeta Isaia, anche se una madre dimenticasse il bambino che allatta o non provasse compassione per esso, Dio Madre ci assicura che ci terrà stretti nelle sue braccia per sempre, ci promette: "Io non ti dimenticherò mai" (Is 49-15).

Comments