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Writer's pictureLuigi Gioia

Fiducia in Dio



Innumerevoli mottetti si sono contesi la capacità di esprimere il potere consolatorio di una delle frasi più acclamate del libro dei Salmi: «Bonum est confidere in Domino» (118,8 secondo la Vulgata), che letteralmente significa: «È cosa buona confidare nel Signore», ma potrebbe essere tradotto come «Nulla dà più pace, gioia, sicurezza e speranza che confidare nel Signore, rifugiarsi in lui, ed in lui solo». Vi è una benedizione come ricompensa a questa attitudine: «Beato chi in lui si rifugia» (2,12), ovvero: «Beato colui che fa esperienza della consolazione di Dio». Per questo motivo il salmista non si stanca mai di dichiarare la sua fiducia nel Signore, qualunque siano le circostanze: «Dio mio, in te confido: che io non resti deluso! Non trionfino su di me i miei nemici! […] Proteggimi, portami in salvo; che io non resti deluso, perché in te mi sono rifugiato» (25,1.20). Quando il suo «piede vacilla», quando è oppresso «da molte preoccupazioni», continuamente egli cerca conforto nell’inesauribile amore di Dio (94,18-19). Quando il suo «spirito viene meno», grida al Signore e dice: «Sei tu il mio rifugio, sei tu la mia eredità nella terra dei viventi” (142,4-6). Sa di poter contare sulla grazia di Dio: «Pietà di me, pietà di me, o Dio, in te si rifugia l’anima mia; all’ombra delle tue ali mi rifugio finché l’insidia sia passata» (57,2).

Catastrofi, afflizioni, angosce, tutte le piccole e grandi miserie della nostra vita non sono più in grado di affliggerci. Ciò non significa che la preghiera ci isoli dal dolore o dal pericolo. Al contrario, nel Vangelo la gloria di Gesù risplende al meglio quando egli è tribolato, commosso, angosciato e crocifisso. Anzi, più veniamo introdotti nell’amore compassionevole di Dio, più diventiamo sensibili al dolore e alla sofferenza del mondo attorno a noi. Solo la preghiera apre in noi uno spazio in cui possiamo affrontare ogni afflizione affidandola al Signore e rifugiandoci in lui: bonum est confidere in Dominobonum nel senso di consolante, rassicurante, pacificante.

La cosa sorprendente è che, lungi dall’essere un ostacolo al rifugiarsi nel Signore, la nostra crescente consapevolezza di quanto siamo inconcludenti ce lo rende più facile. “Inconcludenti” può sembrare una forma di biasimo di sé eccessivo e, certamente, dovremmo piuttosto imparare a vedere il lato positivo delle cose, specialmente delle nostre imprese. Eppure non riusciremo mai del tutto a sottrarci alla sensazione triste e deprimente che nelle nostre vite combiniamo ben poco, e che le motivazioni o gli esiti di questo “poco” sono dubbi e precari. Questi sono i momenti, tuttavia, nei quali potremmo essere sorpresi di scoprire che una cosa almeno rimane, resiste e si rivela come una roccia inattaccabile, un porto sicuro, un luogo di rifugio: vale a dire questa fiducia riposta unicamente nel Signore, in lui più che in tutto il resto e nonostante tutto il resto.

La preghiera diventa allora solo questo: la meraviglia per questa strana capacità che inaspettatamente scopriamo in noi, la capacità di trovare riposo in Dio o, come alcuni traduttori rendono magnificamente, di aspettare Dio in silenzio: «Solo in Dio riposa l’anima mia; da lui la mia salvezza. Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: mai potrò vacillare» (Sal62,2-3). L’autore di questo salmo continua elencando tutte le miserie della sua vita, non per lamentarsi, ma per condividere la sua meraviglia nello scoprirsi libero e in grado di trovare riposo nel mezzo dei tumulti semplicemente rivolgendosi al Signore: «Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui la mia speranza. Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: non potrò vacillare” (62,5-6).

Una frase sibillina alla fine del salmo spiega il perché questa fiducia: «Una parola ha detto Dio, due ne ho udite: la forza appartiene a Dio, tua è la fedeltà, Signore» (62,12-13). Sembra che facciamo affidamento sulla forza di Dio, ma più profondamente ci affidiamo a lui perché siamo toccati dal suo amore. In altre parole, potremmo dire che Dio è forte, ma la sua forza risiede in un amore che sceglie la debolezza, la vulnerabilità, sceglie di cambiare la storia non attraverso interventi spettacolari ma spargendo semi invisibili e aspettando poi che essi germoglino, crescano ed infine portino il loro frutto.

La consolazione che traiamo dall’aver fiducia in Dio non si basa sull’aspettativa di cambiamenti immediati e spettacolari – anche se a volte effettivamente accadono, talvolta Dio agisce in modo immediato e decisivo. Anche in questi casi, tuttavia, rifugiarsi nel Signore implica il credere che in qualunque modo egli agisca, intervenendo immediatamente, aspettando o anche non agendo, egli ci sta amando. Ciò in cui noi confidiamo è questo amore. Ed è questo il vero miracolo. Questo è il tesoro che sorprendentemente scopriamo nel campo della nostra preghiera (cf. Mt 13,44). Possiamo fallire in tutto il resto o, più probabilmente, sentirci inadeguati, e nonostante questo, misteriosamente, ancora in grado di pronunciare qualcosa di così puro, incontaminato, autentico e meraviglioso come questa frase: «Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene» (Sal 16,2). Dovremmo davvero dirlo, sentirlo e saperlo: questo ci dona consolazione, ci dà gioia, è la fonte della nostra pace. Tutto questo trova un’eco notevole in una frase pronunciata da Pietro nel Vangelo di Giovanni: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).

Questa è la perla che la preghiera contemplativa fa maturare in noi e la consolazione di cui la preghiera vive: la profonda certezza che solo Dio è il nostro unico, vero, duraturo, affidabile ed inesauribile bene. Non sono più tentato di “fabbricare idoli” perché «anche di notte il mio animo mi istruisce». Mi piace interpretare questa “notte” come la silenziosa preghiera contemplativa che insegna a porre «sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare» (Sal 16,4ss.).




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