Ci siamo dolorosamente rassegnati, purtroppo, alla frequenza con la quale la corruzione ecclesiastica si ritrova sulla prima pagina dei nostri giornali. Volendolo potremmo trovare un risvolto positivo a questa situazione: dimostra che l’impunità di casta comincia ad essere intaccata e che lo sforzo di riforma e di risanamento intrapreso con il pontificato di Papa Francesco comincia ad avere i suoi effetti. Lo abbiamo visto di recente con la vicenda del Cardinal Becciu. In passato, la scoperta di tali malversazioni finanziarie sarebbe stata messa a tacere e se fossero stati presi dei provvedimenti, al massimo ci sarebbe stato un trasferimento, magari una promozione, secondo il principio del Promoveatur ut amoveatur, “Promuovere per rimuovere”.
Possiamo consolarci quindi almeno nel constatare l’assoluta trasparenza con la quale il cardinale è stato rimosso dai suoi incarichi e privato dei suoi onori e la tempestività con la quale la notizia è stata diffusa. Tale esito non era scontato soprattutto se si tiene conto della fiducia personale di cui Becciu godeva da parte di Papa Francesco. Licenziandolo in questo modo in fondo Papa Francesco ha ammesso di aver commesso un errore di giudizio nella fiducia accordata ad uno dei suoi più stretti collaboratori - e sappiamo quanto spesso i nostri leader sono tentati di coprire scandali che potrebbero intaccare la loro immagine.
Riflettendo su questa vicenda alla luce della pagina evangelica della moneta con l’effige di Cesare nel Vangelo di Matteo, mi è venuta in mente la frase di una intervista a Papa Francesco all’inizio del suo pontificato nella quale affermò riguardo a se stesso: “Sì, posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo”. E’ una frase che cito molto spesso e che genera sempre una ilarità complice nei miei interlocutori e esprime una qualità che, lo confesso, gli invidio.
Se vogliamo davvero essere discepoli di Gesù e gli strumenti della sua misericordia allora dobbiamo come lui imparare a cercare attivamente sempre e prima di tutto il bene che c’è in ogni persona che incontriamo. Questo non solo genericamente, ma concretamente sforzandoci di interpretare positivamente i comportamenti e le scelte degli altri. Personalmente, ogni volta che sono tentato di dare un giudizio negativo su un comportamento altrui ripeto a me stesso una frase che sentii per caso tanti anni fa e che da allora è diventata per me una specie di mantra: “Vediamo negli altri il male che è in noi”. Tanti considereranno questo atteggiamento ingenuo e potenzialmente pericoloso. E di fatti mi sono ritrovato spesso in situazioni in cui ho attribuito intenzioni positive a persone con cui avevo a che fare per poi purtroppo dover scoprire che in realtà avevano cercato di farmi del male. Questo deve essere successo a Papa Francesco con il Cardinal Becciu fino a che l’evidenza non lo ha costretto a ricredersi.
Lo stesso deve essere successo anche a Gesù nelle sue diatribe con i Farisei e gli Erodiani. Non avrebbe continuato a dialogare instancabilmente con loro lungo diversi capitoli nel Vangelo di Matteo se non avesse creduto che erano animati da buone intenzioni, che cercavano davvero di capire il suo messaggio e che le loro reticenze erano sincere e motivate da buone intenzioni.
Solo ad un certo punto è costretto a riconoscere che la realtà è un’altra e, come dice il Vangelo, “si rende conto della loro malizia” (Mt 22.18).
C’è un momento nel quale dobbiamo arrenderci all’evidenza ed è necessario allora diventare, come dice Papa Francesco, “un po’ furbi” o, come dice Gesù nel vangelo, “prudenti come serpenti” (Mt 10,16).
Con l’aiuto di questa pagina evangelica chiediamoci allora due cose: prima di tutto a che punto possiamo legittimamente e anzi abbiamo il dovere di sospendere l’ingenuità nei nostri rapporti con gli altri e “riconoscere la loro malizia”? Poi, quale deve essere la reazione del cristiano quando si accorge senza possibilità di dubbio che qualcuno sta cercando di fargli del male?
Prima domanda quindi. Non sarebbe sano se fossimo sempre diffidenti nelle nostre relazioni con gli altri. I primi a subirne le conseguenze negative saremmo noi. Essere sospettosi ci rende ansiosi, ci priva della nostra spontaneità, ci chiude in noi stessi e ci intristisce. Meglio quindi restare serenamente ben disposti nei confronti di tutti fino a che non suona il campanello d’allarme suggerito dal Vangelo, vale a dire prima la seduzione e poi il tentativo di condurci a fare o dire qualcosa di compromettente. Per proteggermi in questi casi mi basta restare fedele ai miei principi. Mi sono trovato in una situazione nella quale, per farmi del male, una persona voleva farmi dire delle cose negative su un’altra, in modo da poterle usare contro di me. All’inizio non sospettavo nulla, ma ciò che alla fine mi aiutò ad accorgermi della malizia di questo tentativo fu che non sopporto la maldicenza gratuita. Certo, siamo tutti propensi a dire una parola di troppo in alcune circostanze, ma diventare complici di maldicenza gratuita mai – e in questo modo proteggiamo non solo gli altri, ma anche noi stessi.
Seconda domanda allora: quale deve essere la nostra reazione quando ci accorgiamo senza possibilità di dubbio che qualcuno sta cercando di farci del male? Qui ci può essere d’aiuto l’immagine del serpente suggerita dalla frase di Gesù. Non amo i serpenti e quindi non mi sono mai sentito troppo ispirato da questa immagine, ma pensandoci bene trovo che illustri perfettamente la risposta di Gesù ai farisei nel vangelo di oggi: invece di lasciarsi trascinare nella loro trappola e dire qualcosa di potenzialmente illegale, mette in luce le contraddizioni dei sui avversari. Sono contro l’autorità imperiale ma la rapidità con la quale esibiscono la moneta dimostra che non hanno scrupoli nel fare uso dei benefici economici e commerciali garantiti dal sistema che contestano. E’ un po’ come se don Camillo dicesse a Peppone: “Hai il cuore a sinistra e il portafoglio a destra”. Il serpente è abilissimo a sfilare tra le dita e per questo è impossibile afferrarlo. Allo stesso modo, piuttosto che rispondere al male con il male, dovremmo diventare esperti nel saperci districare dai tranelli nei quali purtroppo non solo individui ma spesso anche la società o i modelli culturali dominanti vogliono trascinarci – e il modo migliore di farlo è mettere in luce le contraddizioni di chi ci tende il tranello, rispondere a domande con altre domande, cambiare discorso – le tattiche sono tante.
In questo credo che consista la saggezza della frase di Papa Francesco. Riconosce che occorre essere furbi, e certamente da papa e circondato dalla proverbiale corruzione che regna in Vaticano ha ragione -e la vicenda del Cardinal Becciu ne è solo l’ultima prova. Ma ciò che rende la sua frase irresistibile è il modo in cui la qualifica aggiungendo “un po’”. Nel nostro desiderio, per quanto è possibile, di vedere sempre prima il bene negli altri non siamo soli e non siamo ingenui. Lo facciamo non perché siamo ciechi sulla possibilità di malizia che purtroppo abita nel cuore umano, ma perché crediamo che Dio agisce nella storia e nelle nostre vite e sa come trasformare tutto in bene, anche la perversità e, più spesso ancora, la stupidità umana.
Ci limitiamo quindi serenamente e con fermezza a essere furbi solo “un po’” non per ingenuità, ma per fede - non per imprudenza, ma sapendo di poter contare sul Signore. E ci aiuterà ripetere al Signore questa frase nella nostra preghiera: “Lo so, Signore, non sono molto bravo a proteggermi dalla malizia altrui, ma so che lo fai tu, e mi basta”.
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