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  • Writer's pictureLuigi Gioia

Il potere della mitezza

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Penso che il miglior consiglio spirituale che abbia mai ricevuto mi sia stato dato circa 10 anni fa da un saggio monaco italiano. Stavo attraversando uno di quei periodi nella vita che prima o poi dovremo affrontare tutti. Avevo avuto l’intenzione di fare del bene, di aiutare alcune persone, ma in parte a causa della mia inesperienza e in parte per pura insensibilità, avevo causato dolore - e comprensibilmente queste persone non erano contente. Fu una di queste situazioni famosamente descritta da Paolo nella sua Lettera ai Romani: “Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto” (Rm 7,15). La parola “detestare” è forse eccessiva, ma certamente non ero fiero di me stesso, e questo aveva condotto a molta introspezione e ad un lungo e doloroso periodo di insicurezza. Trovare il giusto equilibrio in queste situazioni non è facile. Dobbiamo essere autocritici ma non finire con l’essere troppo duri con noi stessi. La durezza non è mai salutare, né con gli altri né, soprattutto, con se stessi. Queste sono le situazioni in cui una guida spirituale può essere utile, ed ecco la ragione per la quale evoco la conversazione con questo saggio monaco. Mi disse semplicemente: “Luigi ora respira per un po' - nient'altro, respira e basta”. Il modo in cui interpretai questo consiglio fu questo: “Ora, sii mite con te stesso”, forse un modo di suggerire: più imparerai a essere mite con te stesso, più sarai in grado di fare ugualmente con gli altri. Le lezioni più memorabili sono spesso le più concise.

Quando la vita ci provoca stanchezza, ci impone pesanti fardelli - e non conosco fardello più pesante di quello della colpevolezza - Gesù ci invita a non chiuderci in noi stessi, e soprattutto a non auto-flagellarci, ma ad andare da lui: “Vieni a me ”, dice nel Vangelo! E venendo da lui non troviamo giudizio o accusa, ma semplicemente il "riposo" di cui abbiamo più bisogno. Possiamo essere molto bravi a trovare riposo per i nostri corpi, ma spesso siamo totalmente incapaci di quello di cui abbiamo più bisogno, il “riposo per le nostre anime” (Mt 11,25-30).

L'immagine che mi viene in mente quando penso al riposo è il discepolo benamato che adagia il suo capo sul petto di Gesù durante l'ultima cena. Gesù non ha paura di questo tipo di vicinanza, la sua virilità non si sente affatto minacciata da manifestazioni fisiche di affetto, malgrado queste ultime fossero culturalmente sgradite allora come lo sono purtroppo ancora per molti oggi. Dio è pronto a fare qualsiasi cosa pur di offrire riposo a chi viene a lui, per aprire uno spazio in cui poter essere se stessi, accolti e ascoltati senza giudizio, amati e perdonati. Abbiamo torto se pensiamo che per crescere, per migliorare, abbiamo bisogno di essere duri con noi stessi. Non è questo il modo in cui il Signore ci accompagna. Al contrario, lui ci invita a venire a lui perché, a differenza di noi, non ha paura di darci spazio per respirare, di attendere il tempo necessario per guarirci dal di dentro e di prendersi amorevolmente cura di noi nel frattempo. "Vieni a me - dice - perché io sono mite". Spesso confondiamo la mitezza con la debolezza. In realtà sappiamo che la rabbia è debole e che la durezza è sintomo di insicurezza. Non vi è segno più inconfondibile di forza interiore di una mitezza costante, rassicurante, calma – non vi è nulla di più disarmante e per questa ragione capace di cambiarci la vita. Tutta la storia della salvezza si basa sulla mitezza: questa è la modalità scelta da Dio per guarirci e forse di insegnarci anche come salvarci da noi stessi. Questa è la modalità scelta da Dio per rivelare la sua presenza nella nostra vita e nella nostra preghiera - il suo “mite sussurrare”, il suo mite respiro. E’ il soffio che il profeta Elia udì quando incontrò il Signore fuori dalla sua caverna (Re 19.11 ss), il soffio che anche noi potremmo percepire se, per una volta, avessimo un po’ più di pazienza con noi stessi e ci concedessimo semplicemente di respirare.




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