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  • Writer's pictureLuigi Gioia

Il potere della schiettezza



Credo che il principe Filippo di Edinburgo fosse sincero quando, a un giornalista che gli chiedeva "Cosa pensi di te adesso", rispose "Non lo so" e poi aggiunse: "Sono semplicemente qui". La maggior parte dei resoconti sulla sua infanzia e giovinezza sembrano confermarlo: fin dai primi anni della sua vita, scelse di non soffermarsi sull'introspezione ma di immergersi nell'azione, vivere appieno, sviluppare un occhio per l'aspetto comico di ogni situazione, interagire con le persone in modo sincero, distogliere costantemente l'attenzione da se stesso.

Anche per quanto riguarda uno dei suoi più celebri successi, il Premio The Duke of Edinburgh, che avviò nel 1956, avrebbe minimizzato la misura in cui era stato modellato dalla sua visione e aveva prosperato grazie al suo patrocinio. Questo programma di auto-miglioramento riflette l'educazione ricevuta dal principe Filippo nel collegio scozzese di Gordonstoun e si basava sulla convinzione che, nelle sue parole, "Se riesci a convincere un giovane a completare una qualsiasi attività, allora la sensazione di successo si diffonderà in molte altre". “Queste esperienze -affermò in un'altra occasione- insegnano lezioni più generali e servono come dimostrazione pratica di ciò che si può ottenere attraverso la determinazione e la tenacia ". Alcuni dei tributi più toccanti di questi ultimi due giorni sono venuti da persone la cui vita è stata trasformata grazie a questo programma.

Oggi pensiamo di conoscere qualcuno solo quando parla apertamente dei suoi sentimenti. Generazioni di giornalisti e sedicenti "esperti reali" hanno cercato freneticamente di decifrare i sentimenti del principe Filippo riguardo ad un'infanzia e una giovinezza segnate dall'esilio, la separazione dal padre, le condizioni mentali instabili di sua madre, la morte prematura di sua sorella e ovviamente la guerra.

Invece, il principe Filippo era determinato a dare l'impressione che non ci pensasse e che vivesse semplicemente giorno dopo giorno - e spesso i commentatori insinuano che questo atteggiamento è un modo di negare la realtà o di cercare di sfuggirla. La sua profonda umanità, tuttavia, la lealtà che ispirava in tutti coloro che lo conoscevano da vicino e soprattutto l'amore, la devozione e il sostegno immancabili che ha sempre dimostrato alla sua sposa, la Regina, forniscono un’altra versione.

Lungi dal rifugiarsi nella fuga o nel diniego della realtà, reagì alle avversità attraverso crescente dedizione ed empatia. Questo è illustrato nella scena della sua vita che mi è sempre venuta in mente pensando a lui. All'indomani della morte della principessa Diana, principe Filippo fu la presenza rassicurante che più di ogni altra alleviò il dolore dei suoi nipoti sottoposti alla pressione insopportabile e quasi isterica dell’opinione pubblica. Così abbiamo questa potente immagine di lui, che cammina dietro la bara di Lady Diana, al fianco del principe William. Solo più tardi emerse che il principe William era restio all’idea di camminare dietro la bara e che il principe Filippo gli aveva detto: "Se non cammini, penso che te ne pentirai" e poi aggiunse "Se cammino io, camminerai con me?". Questo livello di ponderatezza ed empatia denota una lunga e paziente elaborazione personale del lutto, qualcosa che, per fare un altro esempio, colpisce anche nella personalità del presidente Joe Biden.

Se c’è una cosa che il Principe Philip non hai mai nascosto è la sua fede e tuttavia anche a questo riguardo ha avuto un approccio senza fronzoli e avrebbe potuto dichiarare "Sono semplicemente qui". Spesso nella vita, come nella preghiera, o nel lutto, nostro o delle persone che amiamo, la cosa migliore, l'unica cosa che possiamo fare è questa: "Sono semplicemente qui" e "Camminerò con te".

Non posso fare a meno di percepire dei paralleli tra principe Filippo e il protagonista della scena che avviene 8 giorni dopo la risurrezione di Gesù e ritorna ogni anno nella seconda domenica di Pasqua, cioè l’apostolo Tommaso. Condividono qualcosa della stessa capacità di compensare le loro gaffe grazie ad una sincera schiettezza.

L'irriverente vivacità del principe Filippo lo metteva costantemente nei guai e tuttavia fu riscattata dalla sincerità del suo humour autoironico, come nel suo ben noto discorso al’Assemblea Dentale Generale nel 1960, quando coniò una nuova parola per descrivere le sue cantonate: "Dontopedalogia cioè la scienza di aprire la bocca e metterci il piede, una scienza che -dichiarò in quell'occasione- ho praticato per molti anni " (“mettere il piede nella bocca” è una espressione idiomatica inglese che vuol dire “fare una gaffe”).

Un certo livello di impertinenza non è assente nella risposta ironica di Tommaso a quella che percepiva come la malsana credulità degli altri discepoli: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (Gv 20.25). Era come se avesse detto loro: “Devo ricordarvi che aveva letteralmente dei buchi nelle mani, uno squarcio nella gabbia toracica, che dei veri chiodi gli hanno trafitto il corpo e che abbiamo maneggiato il suo cadavere? È morto. Rassegnatevi!". Se Tommaso pensava davvero che i suoi amici avessero sofferto un’allucinazione perché non riuscivano a venire a patti con il trauma della morte di Gesù, insistere così pesantemente sugli aspetti più dolorosi di quell'evento non era davvero la via più premurosa da percorrere.

Tutti talvolta manchiamo di tatto nella nostra vita: a volte non ci rendiamo bene conto del contesto, altre volte reagiamo non tanto alla situazione ma alle sue risonanze inattese in noi, oppure - e questo è spesso il mio caso!- semplicemente non siamo in grado di calibrare correttamente l’humour. Il confine tra arguzia, ironia e sarcasmo è estremamente sottile, varia tra generazioni e culture, e la personalità è un fattore decisivo in esso. Tommaso potrebbe aver pensato che il suo brutale rimando alla devastazione subita dal corpo di Gesù fosse lo shock di cui i suoi amici ancora traumatizzati avevano bisogno per accettare la dura e spietata realtà della morte. È facile immaginare che questo non sia andato giù a tutti e abbia ferito più di qualcuno.

Quando Gesù appare di nuovo una settimana dopo, a Tommaso non viene risparmiato un doloroso momento di resa dei conti per una così straordinaria mancanza di tatto. In questa occasione, Gesù non si mostra semplicemente vivo, ma si rifà alle stravaganti esigenze di Tommaso per una meticolosa verifica fisica: prima controlla i segni dei chiodi nelle mani di Gesù, poi la ferita al fianco; usa prima le mani, poi un dito; non fidarti solo dell'aspetto delle ferite ma ispeziona il loro interno. 'Non è che per caso - sembra dire Gesù in risposta - sei un tantino esigente? Ma, come desideri: “Metti qui il tuo dito e osserva le mie mani. Allunga la mano e mettila nel mio fianco ”.

Da un punto di vista letterario, tuttavia, la tensione accumulata dall'ironia, dalla sconsideratezza e dal dolore che circonda questo dialogo ha lo scopo di mettere in risalto il suo toccante epilogo, che è il riconoscimento assolutamente disarmante di Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!"

Forse ci sarebbero dovute essere delle scuse, un riconoscimento da parte di Tommaso, almeno un tentativo di giustificare il suo comportamento. Invece, ci è offerta una risoluzione molto più efficace, resa possibile da uno straordinario livello di candore. Il suo risultato è il più potente riconoscimento della divinità di Gesù in tutto il Nuovo Testamento: "Mio Signore e mio Dio!"

La schiettezza autentica non può essere improvvisata. Appartiene solo a persone che non sono prigioniere del loro ego, né ossessionate da come verranno giudicate o percepite. Questo spiega la sua capacità unica di suscitare comprensione e perdono.

Nel mio mondo ideale deve esserci almeno un Tommaso o un Principe Filippo. In una società dominata dalle aspettative sociali, dall’immagine e dalla correttezza, queste gaffe sincere sono salutari e un aiuto prezioso per non prendersi troppo sul serio.

Per questo motivo, e per innumerevoli altri, non solo in questo paese, ma tutto il mondo, sentiremo la mancanza del principe Filippo.

Sappiamo che nessuno avvertirà questa perdita più dolorosamente e personalmente della sua sposa, la Regina Elisabetta, e in modo speciale è a lei che la nostra simpatia, il nostro affetto e le nostre preghiere vanno nella celebrazione odierna della risurrezione di nostro Signore.




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