"Ogni volta che crediamo di essere capaci di identificare il male e di distruggerlo finiamo solo con lo sterminarci a vicenda".
Una delle frasi più misteriose di tutto il Vangelo che da sempre interroga i teologi, soprattutto quelli che studiano il mistero trinitario si trova nel Vangelo di Marco quando Gesù afferma: Quanto però a quel giorno (il giorno della fine del mondo) e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre (Mc 13,32). Sorprende in questa frase che Gesù dichiari di ignorare qualcosa non solo da un punto di vista umano ma anche come Figlio di Dio. Se Gesù è veramente Dio come può ignorare qualcosa?
Da questo dilemma dipende però la concezione cristiana della storia. In esso abbiamo la risposta cristiana a tutte le grandi tragedie a sfondo ideologico che hanno afflitto la storia anche recente dell’umanità, dei 33 milioni di persone uccise da Stalin in Ucraina, dei 50 milioni di vittime dalla follia nazista, dei 40 milioni sacrificati sull’altare del ‘grande balzo in avanti’ della Cina di Mao. La spiegazione ultima di tutte queste grandi tragedie, che a ragione chiamiamo ‘apocalittiche’, è contenuta in questa breve frase: Nessuno lo sa (Mc 13,32).
Se l’umanità avesse accettato questa verità, se avesse veramente creduto in essa, tanti morti, tante tragedie ci sarebbero state risparmiate. C’è infatti un filo rosso che attraversa le tragedie del comunismo, del nazismo, del maoismo e in una certa misura della mondializzazione liberale odierna. Tutti questi movimenti storici pretendono di possedere il segreto del bene ultimo dell’umanità, di poterla condurre ad un benessere definitivo (nel caso della Silicon Valley anche all’immortalità!). Sono, spesso inconsapevolmente, delle anticipazioni della escatologia, della fine dei tempi, cioè una maniera di dire: “Il paradiso non abbiamo bisogno di attenderlo da Dio, ma possiamo realizzarlo noi, adesso. E se per questo è necessario uccidere decine di milioni di persone, il fine giustifica i mezzi”.
Quando il vangelo ci dice che il giorno e l’ora nessuno li conosce eccetto il Padre, ci chiede di accettare che non possiamo esercitare un controllo assoluto sul nostro futuro. Sembra una limitazione intollerabile per la libertà e la responsabilità dell’uomo. Attraverso questo insegnamento, però, Gesù cerca di proteggerci dalla più grande minaccia che pesa su di noi, quella di farci noi stessi gli artefici ultimi del nostro destino, di farci giudici del bene e del male, di continuare come nel giardino dell’Eden ad arrogarci le prerogative di Dio.
Per questo ci è chiesto di meditare su questo Nessuno lo sa (Mc 13,32). La fine della storia, sia di quella universale che di ciascuno di noi, non ci appartiene. Fine intesa non solo come momento ultimo della storia, ma anche come pienezza, realizzazione, liberazione finale dal male, trionfo finale del bene.
Perché, ci chiediamo allora, questo privilegio appartiene solo al Padre e a nessun altro, nemmeno al Figlio? Che cosa c’è dietro a questa assolutezza? In cosa questa è una Buona Novella, cioè perché dovrebbe consolarci?
La risposta è semplice: perché colui al quale appartiene questo privilegio è appunto il Padre, la fonte del nostro essere, colui che ci ha tessuto nelle viscere di nostra madre (Sal 139,13), e quindi che veramente ci conosce (Sal 139,1). Solo il Padre possiede lo sguardo che penetra fino al punto di giuntura tra l’anima e lo spirito (Eb 4,12), solo lui può giudicarci non solo con giustizia ma anche con la compassione di chi ci ha voluti e amati prima della fondazione del mondo (Ef 1,4). Ogni altro giudice sulla terra sarà sempre più o meno ingiusto, perché nessuno di essi potrà mai leggere nel cuore dell’uomo come lo fa il Padre. La consolazione offerta dal vangelo di oggi è questa: il solo che può decidere quando arriverà il momento di eliminare definitivamente il male dalla terra, punire i peccatori e ricompensare i giusti, chiedere conto del nostro operare a ciascuno di noi è il Padre. Che colui al quale è riservato il giudizio sia il Padre vuol dire che ci giudica non solo con giustizia, ma soprattutto con amore e misericordia. Il Padre è certo l’onnipotente, l’onnisciente, ma è soprattutto l’infinitamente paziente perché possiede la pienezza della carità che lui stesso ci insegna e ci dona – una carità cioè capace di tutto credere, tutto sperare, tutto sopportare (1Cor 13,7). Così, il vero segreto della storia alla fine è questo: è il tempo della pazienza di Dio.
La nostra storia umana dimostra esattamente il contrario, ovvero la nostra radicale impazienza. Abbiamo costantemente preteso di identificare il male e di distruggerlo e per questo ci siamo sterminati vicendevolmente. Abbiamo continuato a cercare dei capri espiatori, proiettando su determinate categorie di persone il male che c’è in noi - la borghesia, gli ebrei, i musulmani, gli immigrati, i cristiani che interpretano il Vangelo in modo diverso dal nostro – e preteso di eliminare il male annientandolo.
Questa è l’impazienza degli uomini opposta alla pazienza di Dio. Se avessimo il potere di Dio di eliminare il male e far trionfare il bene distruggeremmo la nostra umanità. Ecco perché possiamo cercare consolazione nel sapere che solo al Padre appartiene la responsabilità di sradicare definitivamente il male dalla terra. Fino ad allora lui pazienta e ci chiede di pazientare con lui, perché di questa misericordia abbiamo bisogno tutti, abbiamo bisogno noi per primi.
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