“Niente impedisce che le persone malvagie siano trascinate in inferno in qualsiasi momento, se non la sola scelta di Dio. Ora sono l'oggetto di quella collera e ira di Dio che si esprime nei tormenti dell'inferno. Dio è molto più adirato con i molti che sono ora in questa assemblea, che magari si ritengono al sicuro, di quanto non lo sia con molti di coloro che sono già ora nelle fiamme dell'inferno”.
Queste incantevoli avvertimenti sono tra le prime righe di uno dei più famigerati sermoni mai predicati, “I peccatori nelle mani di un Dio adirato”, pronunciato dal teologo britannico Jonathan Edwards, a Enfield nel Connecticut, l'8 luglio 1741. Questo sermone divenne il catalizzatore per il cosiddetto Primo Grande Risveglio, la serie di revival che travolse la Gran Bretagna e il Nord America nella metà del XVIII secolo e segnò la nascita dell'evangelismo anglo-americano come movimento trans-confessionale all'interno delle chiese protestanti.
“La fossa è pronta – aggiunse Edwards - il fuoco è acceso, la fornace è calda, pronta a riceverli; le fiamme ora infuriano e brillano. La spada scintillante è affilata e tenuta su di loro, e la fossa ha aperto la sua bocca sotto di loro ”.
Per un'ora intera (all'epoca non sembra che lunghi sermoni dispiacessero), lo zelante predicatore guidò il suo pubblico sempre più sconvolto attraverso la considerazione dell'ira di Dio, della sua spietatezza, inevitabilità e carattere eterno. Dopo ripetute ondate di retorica simile durante la maggior parte del sermone, solo 5 minuti prima della fine introdusse il fatidico “ed ora” che era destinato ad avere un così grande impatto sul suo pubblico e più in generale il mondo anglofono:
“E ora hai un'opportunità straordinaria, sei nel giorno in cui Cristo ha spalancato la porta della misericordia e sta chiamando e gridando ad alta voce ai poveri peccatori; un giorno in cui molti corrono da lui e premono per entrare nel regno di Dio. Molti provengono ogni giorno da est, ovest, nord e sud; molti che ultimamente si trovavano nella stessa misera condizione in cui ti trovi tu ora, sono in uno stato felice, con il cuore pieno di amore per colui che li ha amati e li ha purificati dai loro peccati nel suo stesso sangue, e si rallegrano nella speranza della gloria di Dio”.
La consolazione arrecata dal Vangelo, per Jonathan Edwards, può essere apprezzata solo se contrapposta all'angoscia e alla paura della dannazione. La grazia può essere veramente stimata solo sulla base di una acuta consapevolezza della realtà dell'ira di Dio e della possibilità dell'inferno.
Solo due giorni dopo la predicazione di questo sermone, il 10 luglio dello stesso anno 1741, George Frederic Haendel ricevette una lettera di Charles Jennens contenente il libretto di quella che sarebbe diventata una delle opere corali più note e più eseguite nella musica occidentale, l'oratorio HWV 56 noto anche come il Messia. Sorprendentemente, il libretto è interamente composto da frasi tratte dalla Bibbia detta di King James e dal Salterio di Coverdale ed evidentemente il frutto di una profonda conoscenza della Scrittura.
Un sermone e un libretto sono generi letterari molto diversi. Paragonare il sermone di Edwards e il libretto di Jennens, tuttavia, può essere fecondo a causa dei modi opposti in cui cercano di arrecare consolazione al loro pubblico.
Mentre nel sermone di Edwards il momento di consolazione arriva solo alla fine, Charles Jennens scelse, come è risaputo, di inaugurare l'oratorio con esso: "Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio".
Questa era una scelta intesa a gettare una luce specifica sull'intero oratorio e che denota un approccio diametralmente opposto rispetto a quello di Jonathan Edwards nel sermone.
Jennens sapeva che le raffigurazioni di Dio irato, vendicativo e minaccioso non sono assenti nella Scrittura, specialmente nella letteratura profetica. Il risveglio morale era la missione cruciale dei profeti e la adempirono ricordando le tragiche conseguenze del tradimento dell'alleanza con Dio del popolo di Israele. Tennero il popolo vigile e pronto a cogliere i segni della venuta del "messia", cioè del misterioso personaggio destinato ad essere lo strumento dell’intervento decisivo di Dio nella storia.
Sia la tradizione ebraica che quella cristiana, tuttavia, si resero sempre maggiormente conto che minacce, rimproveri e avvertimenti non sono i tratti più rappresentativi del carattere di Dio, per così dire. Capirono che alcuni passaggi scritturali colgono le intenzioni più profonde di Dio più di altri, e tra questi soprattutto l'oracolo di Isaia che Jennens scelse per aprire il Messia e Haendel rese memorabile con il suo accompagnato. È lo stesso brano che ricorre così frequentemente nella liturgia dell'Avvento, specialmente nel noto inno Rorate Coeli ("O cieli stillate dall’alto" nella versione italiana):
«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». ( Is 40.1f)
Il modo in cui Jennens selezionò gli estratti dei profeti e l'impostazione musicale di Haendel furono realizzati proprio con questa intenzione: arrecare conforto alle persone "parlando (o piuttosto cantando) al loro cuore", in modo da incoraggiarle, lenire il loro dolore e alimentare la loro speranza. In effetti, quale pensiero più incoraggiante dell'assicurazione che segue immediatamente queste linee, in cui Dio promette che lui stesso renderà i nostri cuori disposti a riconoscere e ad accogliere il giorno della sua venuta:
Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata.
Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata.
Solo dopo aver espresso con enfasi questa gioiosa sicurezza, il libretto introduce la nota più cupa dell'ira di Dio che Haendel affidò a un basso. Per rappresentare questo tema, Jennens selezionò testi dai profeti minori Aggeo e Malachia che affermano che Dio "scuoterà i cieli e la terra, il mare e la terraferma e tutte le nazioni" (Aggeo 2,6-7), che nessuno sarà in grado di sopportare il giorno della sua venuta perché giungerà come il "fuoco del raffinatore" per purificare i figli di Levi (Malachia 3.2f)
Da questa scena cupa, tuttavia, l'oratorio ritorna rapidamente alla consolante promessa di Isaia che in realtà Dio non verrà come fuoco, ma come Emmanuele, cioè come "colui che vuole essere con noi" (Isaia 7.14), che egli non ci scuoterà, ma ci proclamerà una tale buona novella (Is 40,9) che ci alzeremo e risplenderemo (Is 60,1). Poi, ancora una volta, un basso avverte che "l'oscurità coprirà la terra" (Is 60,2), ma passa immediatamente alla rassicurante promessa di una grande luce, e più specificamente del bambino che verrà, "meraviglioso, consigliere, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace ”(Is 9,2.6).
Come sempre con la Scrittura, l'interpretazione di un testo o di un tema può cambiare radicalmente a seconda dei passaggi selezionati come chiavi per interpretarne altri. Edwards scelse quelli di Isaia che annunciano che il Signore "ripagherà con furore i suoi avversari" (Isaia 59:18), che "verrà con il fuoco e con i suoi carri come un turbine, per rendere la sua ira con furia, e suoi rimproveri con fiamme di fuoco. (Isaia 66:15) ”. Jennens, invece, scelse le linee che abbiamo citato sopra perché pensava che incarnassero i tre parametri della profezia autentica, cioè di qualsiasi forma di vera predicazione o di proclamazione dell'intenzione di Dio per l'umanità - vale a dire primo "Consolate il mio popolo", secondo "Parlate al cuore di Gerusalemme" e terzo "annunciate liete notizie" (Isaia 40, 1.2.9).
Sappiamo se predicatori, consiglieri spirituali, teologi e musicisti stanno effettivamente parlando, cantando o agendo in nome di Dio solo se le loro parole e azioni consentono agli ascoltatori di sperimentare la consolazione, la tenerezza e la gioia di Dio – di percepire il tono inconfondibile della vera voce di Dio, non solo nella Scrittura, ma anche in molti altri modi in cui cerca di parlarci. Dio parla ovunque: attraverso le persone, le altre religioni, la natura, la musica e anche dove meno ci aspettiamo di trovarlo, attraverso la nostra cultura secolare. Nella sua impazienza immensa di consolarci, di farci provare la sua tenerezza e di darci gioia, Dio continua a parlarci “molte volte e in molti modi” (Ebrei 1,1).
C'è una ragione importante se, in tutta la copiosa raccolta di profezie di Isaia, è l'oracolo contenuto nel capitolo 40 delle nostre bibbie moderne che incarna lo spirito dell'Avvento ed è divenuto la lente attraverso la quale il resto dei profeti e della Scrittura sono stati interpretati nel cristianesimo fin dall'inizio. Il motivo è che questo oracolo contiene la seguente frase:
Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio (Is 40,9)
L'espressione "liete notizie" divenne il nome del nuovo genere letterario creato dai primi discepoli per descrivere le parole e le azioni di Gesù, i vangeli, che in greco è euaggelion cioè "liete o buone notizie". Gli evangelisti capirono che tutto il messaggio e la vita di Gesù erano una buona notizia, perché rivelano che il Padre è intervenuto nella storia per venirci in aiuto e donarci la gioia che nessuno ci può togliere (cfr Gv 16,22) .
Un affascinante dettaglio filologico nella prima riga del Vangelo di Marco conferma questo punto e fornisce una visione ancora più profonda della vera natura della "buona notizia": "L'inizio del vangelo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio" (Marco 1, 1). Il secondo genitivo ("di") in questa frase è volutamente ambiguo. Può significare "la buona notizia sotto forma di parole che parlano di Gesù Cristo" o "la buona notizia che è Gesù Cristo". Possiamo accogliere Dio solo quando, attraverso le parole di Marco, incontriamo Gesù stesso, ascoltiamo la voce del Padre in lui, e così possiamo lasciarci trasformare sperimentando la tenerezza di Dio.
E’ un invito ad interrogarci sulla nostra relazione con la Scrittura e a verificare se ricorriamo ad essa solo per sostenere affermazioni dottrinali, stabilire principi etici o cercare una guida pratica. Questo è ovviamente legittimo, ma non è sufficiente. La Scrittura ci dà accesso alla verità di Dio solo nella misura in cui ci lasciamo toccare dalla tenerezza, dal perdono e dall'amore di Dio. Ogni volta che la Scrittura è stata usata per affermare delle verità su Dio come se queste fossero separabili dall'amore di Dio, ne sono risultate versioni patologiche del cristianesimo usate per giustificare lotte intestine e discriminazione, uccisioni e guerre.
Gesù ci promette la verità tutta intera. Non, tuttavia, come qualcosa che possiamo impacchettare una volta per tutte in frasi o idee. Proprio come il vangelo non è solo il testo scritto ma Gesù stesso, così la verità: "Io sono la verità": la verità è Gesù stesso (Giovanni 14.6). Questo tipo di verità non sarà mai completamente a nostra disposizione. La frase di Gesù: "Lo Spirito di verità vi introdurrà nella verità tutta intera" (Giovanni 16,13) significa che entrare nella verità di Dio è l'opera di una vita per ciascuno di noi e un compito che occuperà le chiese e l'umanità fino alla fine dei tempi.
È interessante notare che questo ruolo è attribuito allo Spirito Santo che è anche il Consolatore (Giovanni 15,26), il portatore per eccellenza del sollievo a cui si riferisce Isaia nelle prime righe del Messia di Haendel. Lo Spirito ci introduce nella verità di Dio persuadendoci che né il deserto della nostra dimenticanza, né le valli dei nostri dubbi, né le montagne del nostro orgoglio, né le aspre terre del nostro sospetto (Isaia 40,4) - niente "potrà separaci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore ”(cfr Rm 8,39).
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