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La forte debolezza

"Spesso accusiamo la Chiesa di essere una struttura di potere ma occorre riconoscere che essa è assolutamente impotente riguardo all’elemento che ne garantisce la sopravvivenza".

Spesso siamo così preoccupati dal calo numerico delle vocazioni nella Chiesa che cessiamo di meravigliarci del fatto che ce ne siano ancora. Non ci chiediamo mai da dove vengano i presbiteri e i laici che si impegnano al servizio delle nostre comunità, i religiosi o tutti coloro che in un modo o nell’altro si dedicano al servizio altrui. Non ci rendiamo conto di quanto si tratti di un miracolo permanente.

Spesso accusiamo la Chiesa di essere una struttura di potere ma occorre riconoscere che essa è assolutamente impotente riguardo all’elemento che ne garantisce la sopravvivenza. Dio ha riservato per sé la chiamata dei suoi ministri, siano essi preti, monaci, suore o laici dediti al servizio della parrocchia, della Chiesa, della carità, della missione. Certo, la Chiesa può e deve chiamare, ma come sappiamo non può forzare nessuno. Ogni servizio (o ministero) nella Chiesa è volontario e libero e il solo modo efficace di contribuire all’incremento del suo personale è pregare. Questa è la richiesta che le è stata fatta dal Signore a questo riguardo: “Pregate il padrone della messe, perché lui mandi operai per la messe” (Lc 10,2). Il padrone della messe è il Padre: lui solo chiama in modo efficace.

Non è raro sentir dire che i presbiteri sono necessari perché senza di essi Cristo non potrebbe rendersi presente e operare nella sua Chiesa. Questa affermazione è completamente errata da un punto di vista teologico. In un certo senso mette il carro davanti ai buoi. Occorre capovolgerla e affermare che se ci sono presbiteri e laici che si mettono al suo servizio è perché Cristo è presente e attivo, come lo ha lui stesso promesso: “Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Quando Gesù chiede ai suoi discepoli di considerarsi servitori inutili (cfr. Lc 17,10) è proprio questo il messaggio che vuole dare loro. Non sono inutili perché il loro contributo è insignificante, ma perché la loro efficacia dipende dalla misura in cui riconoscono di dovere tutto alla iniziativa, al sostegno e all’ispirazione di Dio.

Nella prima lettera ai Corinzi Paolo afferma: “Considerate la vostra chiamata, fratelli. Non ci sono tra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 1, 26-30). Gesù nel Vangelo sceglie come colonne della Chiesa dei pescatori incolti o, nel caso di Paolo, addirittura un nemico, un persecutore della Chiesa. Altrove nella Scrittura lo vediamo ricorrere a giovani pastori come Davide, a codardi come Giona, a balbuzienti come Mosè, a depressi, come Geremia, a irascibili come Pietro, a peccatori pubblici, come Matteo. Certo, nella storia ha anche chiamato persone di grande spessore umano e intellettuale: Agostino e Tommaso sono stati tra i più grandi geni della storia umana. Ma quando hanno testimoniato della chiamata di Dio nella loro vita, tutti costoro hanno potuto sinceramente affermare con Isaia: “Io sono perduto, poiché sono un uomo dalle labbra impure” (Is 6,5) o con Paolo: “Non sono degno” (1Cor 15,9) o con Pietro: “Signore, allontanati da me, perché sono peccatore” (Lc 5,8).

Nessuno è chiamato a causa delle proprie qualità. Dio non ha bisogno di forti. Quando si è fatto uomo, non ha scelto di manifestarsi come ricco, forte e potente, ma debole e impotente. Non ha bisogno di forti, ma di persone con una tale coscienza dei propri limiti da mettere tutta la loro fiducia in Dio.

Una vita cristiana autentica ci farà prendere coscienza sempre più profondamente di questa debolezza e di questi limiti e al tempo stesso non dimenticherà quello che dice Paolo: “Per grazia di Dio, sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana(1Cor 15,10). La vita cristiana non promuove disistima di sé, colpevolezza o rinnegamento dei propri doni. Paolo riconosce serenamente e con fierezza i doni che il Signore gli ha fatto, le grandi cose che opera attraverso di lui. Questa fierezza cristiana genera gratitudine per quello che il Signore opera nella nostra vita, nei fratelli e nelle sorelle che ci circondano. Al tempo stesso Dio vuole persone che sappiano mettere i loro doni nelle mani di Dio per riceverli e riceversi interamente da lui. A Pietro è chiesto di lasciare le reti non per rinnegare le sue doti di pescatore ma per trasfigurarle fino a diventare pescatore di uomini.

“Ciò che è stoltezza di Dio, è più sapiente degli uomini. Ciò che è debolezza di Dio, è più forte degli uomini” (1Cor 1,25). Riceversi interamente dal Signore può apparire come stoltezza agli occhi del mondo. Come stoltezza può apparire anche il modo nel quale la Chiesa trova il suo personale, ma in questa debolezza si dispiega la sapienza e la forza di Dio e abbiamo la prova più evidente della veridicità della promessa di Cristo: “Io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).





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