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La pace dentro

Writer's picture: Luigi GioiaLuigi Gioia

Il Risorto visita i discepoli quando le porte della loro casa sono chiuse (Gv 20,19,26). Questo fa eco alla prima esperienza della risurrezione di Maria Maddalena, Pietro e Giovanni che si avvicinano alla tomba vuota quando "era ancora buio" (Gv 20,1). L'oscurità della notte è un simbolo dell'incapacità di Maria di vedere il Risorto anche se è sempre stato presente. Allo stesso modo, non solo le porte della casa dei discepoli sono chiuse ma anche i loro cuori: sono prigionieri dalla paura (Gv 20,19) e come Tommaso non sono disposti a credere (Gv 20,25) e quindi dubitano (Gv 20,27 ).

Queste reazioni non devono sorprenderci. La risurrezione fa parte delle realtà che, secondo l’apostolo Paolo, “occhio non vide, ne orecchio udì, ne mai entrarono in cuore umano” (1 Cor 2,9). È una novità assoluta che nessuna conoscenza o esperienza precedente ci prepara a percepire. Giovanni lo suggerisce attraverso l'osservazione apparentemente anodina che "era la sera del giorno in cui Gesù risuscitò dai morti, il primo giorno della settimana" (Gv 20,10). Il riferimento al primo giorno della settimana è simbolico poiché è il giorno nel quale Dio iniziò a creare il mondo. La creazione e la risurrezione hanno qualcosa in comune. La risurrezione non è solo Gesù che ritorna alla vita che aveva perso morendo sulla croce, ma l'inizio di una nuova vita, una nuova creazione: “Se qualcuno è in Cristo è una creatura nuova: le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove! ” (2 Cor 5-17).

Gesù avrebbe potuto ascendere in cielo immediatamente dopo la sua risurrezione. Invece, ha scelto di passare cinquanta giorni per restare con i suoi discepoli e intrattenersi con loro perché accedere alla fede nella risurrezione richiede tempo e pazienza, comporta una trasformazione del nostro modo di percepire la realtà e soprattutto un cambiamento del cuore.

Percepire il senso alla risurrezione non più difficile per noi oggi di quanto non lo fosse per

coloro ne furono testimoni e vissero con Gesù, vale a dire i discepoli da lui stesso scelti. Gesù apre i nostri cuori paurosi, dubbiosi e increduli non forzando le porte dal di fuori, ma inondandoci di pace dal di dentro.Ben tre volte ripete ai suoi discepoli: “Pace a voi” (Gv 20, 19,21,26). È la pace che viene dal sapere quanto siamo stati amati e perdonati.

Ecco perché Gesù mostra le sue mani e il suo fianco: sono ancora aperti dalle ferite che ha subito perché "ci ha amati fino alla fine" (Gv 13,1). Non viene per rimproverarci per i nostri peccati, ma per perdonarci e renderci gli ambasciatori della sua misericordia: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Gv 20,22 s.).

Ma la risurrezione non è solo il senso di pace. È la convinzione che Gesù è vivo e presente in mezzo a noi, che il suo amore è più forte della morte (cfr. Cantico dei Cantici 8.6), che né "altezza, né profondità, né qualsiasi altra cosa in tutta la creazione", nemmeno i nostri peccati "potranno mai separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore ”(Rom 8,38). Anche se le porte dei nostri cuori sono ancora tenute chiuse da dubbi e paure, non vi è prigione in cui il Risorto non possa raggiungerci. Non è scoraggiato dal rifiuto di Tommaso di credere e dalle eccentriche condizioni che pone: vedere nelle mani di Gesù i segni dei chiodi, mettere le dita nelle ferite aperte e la mano nel fianco squarciato (Gv 20,25). Gesù è risorto per essere sempre con noi perché abbiamo bisogno di tutta la sua amorevole pazienza per superare lentamente le nostre disillusioni e incredulità, la rassegnazione, la colpa e infine riconoscere la sua presenza confessando "Mio Signore e mio Dio" (Gv 20,28).

In fin dei conti, la risurrezione è la convinzione che il Signore è diventato il "mio Dio", che vive per me, con me, in me. Questo è il motivo per cui questa convinzione ci dona "la pace di Dio che supera ogni comprensione": luce per le nostre menti e consolazione per i nostri cuori (cfr. Fil 4.7).




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