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  • Writer's pictureLuigi Gioia

Nel Grande Silenzio

Updated: Feb 21, 2021




Molti ricorderanno l’inaspettato successo cinematografico di un documentario intitolato Le Grand Silence, in Italiano Il grande silenzio, nel 2005. Un film di 2 ore e 40 minuti del regista tedesco Philip Gröning senza dialoghi, senza musica, girato senza luce artificiale e senza vera trama. Solo immagini e suoni della vita quotidiana dei monaci appartenenti all'ordine più severo della cristianità, i certosini, della comunità francese della Grande Chartreuse vicino a Grenoble, nelle Alpi, nota anche per il suo famoso liquore distillato a partire da 130 erbe aromatiche. Anche se, per quasi 20 anni, ho vissuto in quello che può essere considerato un contesto monastico piuttosto austero, non ho potuto fare a meno di ammirare il carattere radicale della vita dei certosini: una volta entrati nel monastero non se ne allontanano mai fino alla morte, trascorrono la maggior parte del tempo da soli nelle loro celle e dedicano tutta la loro vita alla preghiera. Nessuno può visitare le loro comunità, nemmeno altri monaci, a meno che qualcuno non voglia discernere la propria vocazione o sia invitato a predicare loro un ritiro.

Quindi potete immaginare la mia sorpresa e emozione quando mi fu chiesto di predicare un ritiro alla comunità certosina di Serra San Bruno, nel Sud Italia, nell'agosto 2011. All'epoca stavo trascorrendo un periodo sabbatico in Svizzera, preparandomi ad assumere la mia nuova posizione di docente di teologia a Roma, e già in un periodo di grande introspezione. Così accolsi questo invito con gioia e raggiunsi l'aeroporto di Lamezia Terme, in Calabria, dove un amico della comunità venne a prendermi e mi accompagnò in auto nella remota località del monastero, sulle montagne dell'Appennino.

La Calabria resta purtroppo per molti aspetti una delle regioni più isolate d'Italia, a causa del controllo assoluto esercitato dalla ndrangheta, che è una delle mafie più potenti al mondo. Per decenni la ndrangheta ha impedito la costruzione di un'autostrada e ha fatto di tutto per tenere isolati i paesi dell'interno della regione dal resto del mondo. I miei due fratelli vennero a prendermi in macchina alla fine del mio soggiorno perché potessi andare a passare qualche giorno in famiglia nella vicina Basilicata - e ricordo che ci perdemmo più volte perché il GPS non era accurato. Uno dei miei fratelli era stato in quella zona in passato e mentre attraversavamo uno di questi paesini mi disse che non vi si poteva fare assolutamente nulla senza il permesso del boss mafioso locale che tutti chiamavano Iddu, "Lui".

Passai circa una settimana nella Certosa, facendo una meditazione al giorno e trascorrendo il resto del tempo da solo nella casetta a me assegnata che era molto simile all’abitazione tipica degli altri monaci. Poiché vivono in solitudine, i certosini non hanno una sola stanza, come negli altri ordini monastici, ma vivono in casette a due piani con un piccolo giardino per il loro lavoro manuale quotidiano. Pregano insieme nella cappella solo 2 o 3 volte al giorno (invece delle 7 volte in un monastero benedettino), mangiano i pasti da soli nelle loro abitazioni e fanno una passeggiata in comune una volta alla settimana, che è l’unico momento in cui possono parlare gli uni con gli altri. Uno dei momenti di preghiera in comune in chiesa è all'una di notte e dura… beh, un’eternità! Andai all'ufficio notturno solo la prima notte ma non riuscivo a rimanere sveglio. Sono abituato ad alzarmi presto e ho sempre amato l’ufficio detto del Mattutino che nel mio monastero era alle 5 del mattino, ma non ero abituato a spezzare in due il sonno notturno e a dovermi svegliare solo 3 o 4 ore dopo essere andato a letto, passare ore a cantare salmi e poi tornare a letto per altre 3 ore ...

Come sempre quando predico ritiri, dal terzo giorno in poi, i monaci iniziarono a venire a trovarmi individualmente per un colloquio - che offre un’opportunità unica di conoscere la comunità dall'interno, per così dire. È consolante per me scoprire che anche in forme di vita cosi austere si incontra la stessa umanità, con gli stessi conflitti interiori, speranze e dubbi di qualsiasi altro stile di vita. L'unico elemento distintivo è una percezione diversa del tempo. Non c'è nessun motivo di affrettarsi da nessuna parte: sei sollevato da qualsiasi forma di pressione esterna e dalla prospettiva di qualcosa di elettrizzante o di fuori dall'ordinario. Una specie di quarantena continua, che tuttavia non è subita ma sposata, e invece di noia e depressione infinite e insopportabili in qualche modo dà accesso a un livello di esistenza più profondo.

Non puoi sopravvivere a lungo in questo stile di vita se non accetti di guardare le tue paure interiori e i tuoi demoni direttamente negli occhi e intraprendere il difficile viaggio della conoscenza di sé, che è il cuore della spiritualità monastica. Il risultato non è un'umanità più pura o più santa, ma persone più umili e in pace con se stesse.

Durante le mie numerose conversazioni con monaci e monache nei molti altri monasteri in cui ho predicato, ciò che mi ha sempre conquistato è il misto di ingenuità e di saggezza.

Il più delle volte, se chiedi a monaci o suore di parlare della loro preghiera, del loro stile di vita o, peggio ancora, delle loro opinioni sui problemi del mondo, danno risposte superficiali o ripetono luoghi comuni. Il che non è sorprendente, dal momento che non hanno esperienza della vita quotidiana nella società secolare e normalmente non predicano né tengono discorsi né scrivono, quindi non hanno molti incentivi per tradurre la loro esperienza in parole.

Proprio questo è ciò che rende il film di cui ho parlato all'inizio, Il grande silenzio, così accattivante. Riesce a cogliere l'essenza della vita certosina proprio perché i monaci non parlano, ma semplicemente vivono - e poiché furono filmati per 6 mesi, si erano talmente tanto abituati alla telecamera e non la notavano neanche più.

La parte del film che mi colpisce maggiormente arriva verso la fine, quando il cineasta mostra per pochi secondi i volti dei monaci. Nei tratti di quei visi, nei loro movimenti impercettibili, soprattutto nell'istante in cui abbassano la guardia e si rilassano, in qualche modo è la loro stessa anima a parlare, e lo spettatore è raggiunto da qualcosa che provoca una epifania anche della sua stessa anima. Ho trovato questa sezione su internet e suggerisco che per i prossimi due minuti la guardiate in silenzio e vi esponiate al suo richiamo.

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