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  • Writer's pictureLuigi Gioia

Nel palmo della nostra mano


Il 5 aprile 1887, accompagnata dalla sua governante, una giovane ragazza sordomuta si recò presso una pompa d’acqua non lontano da casa sua, in Alabama. Era una bambina ingestibile incline a frequenti scatti di ira dovuti alla sua impossibilità di comunicare e la sua incapacità di comprendere il mondo che la circondava. Per settimane, la governante aveva provato a rompere l'isolamento praticamente totale della bambina sillabando parole nella sua mano nella speranza che riuscisse a collegarle con oggetti, ma senza successo. La ragazza pensava che fosse solo un gioco e non riusciva a percepire la connessione. Presso quella fontana, la governante mise ripetutamente la mano della bambina sotto un getto d'acqua mentre scriveva “a-c-q-u-a” nel suo palmo prima lentamente, poi più rapidamente – finche’ il miracolo finalmente avvenne, la ragazza capì che quelle pressioni sulla sua mano le avrebbero permesso di comunicare con chi le stava intorno.

È un episodio ben noto, reso popolare attraverso molteplici scritti e film. La bambina era Hellen Keller e la governante Anne Sullivan. Hellen era una bambina prodigiosamente intelligente e divenne una scrittrice, conferenziere e attivista di fama mondiale. Ecco come lei stessa descrive il momento dell'acqua nella sua autobiografia: “Mentre la sensazione di fresco scorreva su una mano, [la governante] scrisse nell'altra la parola acqua, prima lentamente, poi rapidamente. Rimasi immobile, tutta la mia attenzione concentrata sui movimenti delle sue dita. All'improvviso avvertii la consapevolezza annebbiata di qualcosa di dimenticato - il brivido associato a un pensiero che ritornava; e in qualche modo il mistero del linguaggio mi fu rivelato. Allora capii che "a-c-q-u-a" significava quel qualcosa di meraviglioso e di fresco che scorreva sulla mia mano. Quella parola viva risvegliò a mia anima, le diede luce, speranza, gioia, la liberò! C'erano ancora barriere, è vero, ma barriere che con il tempo avrebbero potuto essere spazzate via".

Nella nostra relazione con Dio siamo nella situazione di Hellen Keller rispetto a ciò che la circondava prima del momento dell'acqua. Non siamo in grado di vedere Dio con i nostri occhi e di ascoltarlo con le nostre orecchie, come possiamo fare con ogni altra persona. C'è una ragione per questa impossibilità? È che siamo diventati ciechi e sordi a causa del nostro peccato o è che Dio non ha un corpo come il nostro? Può essere per entrambe o solo per una di queste ragioni e in fin dei conti non è ciò che conta davvero. Dio potrebbe, ovviamente, rendersi visibile e udibile - e lo ha fatto, in un roveto ardente, in una nube luminosa, attraverso una voce venuta dal nulla. Ma con ogni probabilità questi sono espedienti letterari - e in ogni caso, qualunque cosa fu visto o udito non era Dio - un roveto non è Dio, né una nuvola, né il suono di una voce. La semplice verità è che, come dice Giovanni alla fine del Prologo al suo Vangelo, quale che ne sia la ragione, “Dio nessuno lo ha mai visto" (Giovanni 1.xx).

Eppure ci viene anche detto che "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio" (Giovanni 1.1). Potremmo fare fatica con una presentazione così astratta di Dio, ma il significato di questa frase non potrebbe essere più semplice. Una parola, pronunciata con la nostra voce o scritta nel palmo della nostra mano è ciò attraverso cui cerchiamo di raggiungere altri, di comunicare, di farci capire. Quindi ciò che Giovanni vuole dire è che Dio non è solo qualcuno che vuole parlare, ma che è parola, è comunicazione - cioè desidera raggiungerci, parlare con noi, farsi capire da noi. E poiché non possiamo vederlo né sentirlo, la sua relazione con noi somiglia molto a quella di Anne Sullivan (questo era il nome della governante) con Hellen Keller – da sempre Dio cerca di scrivere parole nel palmo della nostra mano, e durante tutto questo tempo non abbiamo ancora vissuto il nostro "momento dell'acqua", non abbiamo ancora stabilito la connessione, pensiamo ancora che sia solo un gioco.

La lettera agli Ebrei ci dice che sin dal principio Dio ha cercato di comunicare con noi “molte volte e in diversi modi” (Eb 1.1). Esattamente la stessa idea sta dietro l'immagine della Sapienza nell'Antico Testamento, dove dice di se stessa: "Sono uscita dalla bocca dell'Altissimo e ho ricoperto la terra come una nebbia" (Siracide 23.xx). E in effetti nel corso della storia, molte persone hanno colto questo messaggio, almeno in parte. Dietro l'uso dell'immagine della Saggezza per parlare dei modi in cui Dio cerca di raggiungerci, c'è l'idea che tutto ciò che ci ispira e ci eleva in qualsiasi cultura, religione, filosofia, nella natura, nell’arte è Dio che sta cercando di dirci qualcosa.

Il prologo di Giovanni, tuttavia, va oltre. Per Giovanni Dio non è solo parola, ma nel suo ardente desiderio di raggiungerci, e vedendo che tutti i suoi precedenti tentativi erano falliti, ad un certo punto fece il passo straordinario di farsi carne. Proprio come con Hellen Keller, sapeva che se voleva rompere la nostra incapacità di vederlo e di sentirlo, doveva diventare in grado di toccarci, scrivere parole direttamente nel palmo della nostra mano. "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la sua gloria" (Giovanni 1.xx).

"Visse in mezzo a noi" in greco è eskenosen, che letteralmente significa "piantò la sua tenda in mezzo a noi". Questo ci dice qualcosa di fondamentale sul modo in cui Dio si rende visibile, udibile e riconoscibile da noi. I Vangeli riportano una serie di detti, parabole e discorsi di Gesù. Non mancano le parole nelle lingue che possiamo capire che ci spiegano chi è Dio e quali sono le sue intenzioni. Per quanto importante, tuttavia, non è questo il modo decisivo in cui Dio ha cercato di farsi strada verso di noi. È significativo che Gesù non abbia mai scritto una sola parola, il che dovrebbe sembrarci piuttosto strano. Il modo principale con cui ci ha raggiunto è stato “vivere in mezzo a noi”, cioè condividere la nostra vita quotidiana, lavorare, camminare, dormire, mangiare, bere con noi. Gesù non si circondò di dodici scribi sempre pronti a trascrivere ogni dichiarazione che usciva dalla sua bocca in modo da preservare una versione il più letterale possibile del suo pensiero. Al contrario, si è circondato di pescatori, di un pubblicano, di uno zelota, cioè un ex terrorista, e ha chiesto loro di "venire a vedere" (Giovanni 1,45), cioè semplicemente di passare del tempo con lui.

Se ci pensiamo, ciò ha perfettamente senso. Ascoltare qualcuno parlare non basta per conoscere quella persona. L'unico modo per conoscere veramente qualcuno è condividerne l’esistenza, passare del tempo con lui, fare cose insieme, che è esattamente ciò che gli Apostoli fecero per diversi anni. E poi, quando giunse il momento di condividere quell'esperienza con altri, la cosa essenziale non fu citare letteralmente parole di Gesù perché avevano un tesoro molto più prezioso da condividere con il mondo, vale a dire la sensazione di avere Dio scritto nel palmo delle loro mani - un Dio che non solo avevano udito ma soprattutto visto, sperimentato, toccato - come ci viene detto nella Prima Lettera di san Giovanni: “Vi proclamiamo ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, guardato, toccato con le nostre mani riguardo alla parola di vita, affinché anche voi possiate partecipare alla comunione che abbiamo avuto con Gesù Cristo e alla gioia che ne deriva ” (cfr 1 Giovanni 1.1-3).

In questo momento, Dio sta facendo lo stesso con ognuno di noi. Sta scrivendo parole nel palmo delle nostre mani, sta cercando di farsi strada attraverso la nostra disillusione, la nostra routine, la nostra noia, la nostra agitazione, le nostre distrazioni. Veniamo in chiesa, ascoltiamo le Scritture, riceviamo la comunione, sperimentiamo istanti di stupore davanti a qualcosa di bello nell'arte o nella natura, siamo toccati dall'attenzione e dall'amore di qualcuno intorno a noi - ma non stabiliamo la connessione, non percepiamo la parola, non capiamo che è Dio che sta cercando di comunicare con noi, forse anche noi pensiamo che sia solo un gioco. Hellen Keller fu fortunata di essere stata affidata a una governante incredibilmente intraprendente e instancabile che continuò a provare e riprovare fino a quando non riuscì. La buona notizia è che il nostro Dio è lo stesso, che anche lui continuerà a provare e riprovare fino a quando finalmente anche noi capiremo, fino a quando, per citare ancora le parole di Hellen Keller, anche noi ci renderemo conto che "’a-c-q-u-a’ significa quel qualcosa di meraviglioso e di fresco che scorre sulle nostre mani”, che ‘D-i-o’ significa il Padre amorevole che vuole dare un senso alla nostra vita, e questa“ parola viva risveglierà le nostre anime, donerà loro luce, speranza, gioia, le libererà! Potrebbero esserci ancora barriere, è vero, ma barriere che con il tempo potranno essere spazzate via ”.




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