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  • Writer's pictureLuigi Gioia

Nudità senza vergogna


Dio, benché a Te leviamo il nostro salmo

dai cieli non c’è voce che risponda;

Te il tremante peccatore prega

ma voce di perdono non gli torna;

la preghiera s’è persa per deserte vie,

il nostro inno muore nel vasto silenzio.


(Gerard Manley Hopkins, Nondum)


Tutto il giorno siamo circondati da voci, spesso troppe. Dobbiamo filtrale e decidere quali vale la pena di ascoltare e quali è meglio ignorare. Le voci che riconosciamo e che ci ispirano fiducia hanno un grande potere su di noi, possono condurci nel cammino giusto, offrirci consolazione, sostegno, e affermazione. Nonostante questa abbondanza tuttavia, come Gerald Manley Hopkins in questi versi dal suo poema Nondum (“Non ancora”), che ho appena letto, aspiriamo anche ad un'altra voce - una voce dal cielo, una voce di perdono. E proviamo un profondo dolore quando quella voce non risponde a noi, sembra scomparsa, e ci chiediamo se sia stata solo il prodotto di un'illusione.

Sorprendentemente, però, questo accade anche in senso inverso, dal punto di vista di Dio, nella sua relazione con noi. Alle sue chiamate “dalla terra non c’è voce che risponda”, le sue richieste sembrano “perse per deserte vie” e suoi appelli “muoiono nel vasto silenzio”. Non siamo solo noi a cantare inni e salmi a Dio. Dio leva i suoi salmi a noi:


Àlzati, amica mia,

mia bella, e vieni, presto!

O mia colomba,

che stai nelle fenditure della roccia,

nei nascondigli dei dirupi,

mostrami il tuo viso,

fammi sentire la tua voce,

perché la tua voce è soave,

il tuo viso è incantevole».

(Cantico dei Cantici 2.13f)


Fammi sentire la tua voce. Questo è il Signore che ci parla. Egli desidera vedere il nostro volto, sentire la nostra voce. Come un padre e una madre con il proprio figlio, uno sposo con la sua sposa, un amico per il suo amico, per lui la nostra voce è incantevole, amata, si sarebbe tentati di dire consolante. Niente lo allieta maggiormente di unirsi a noi per una passeggiata nel fresco della sera.

Questo rende ancora più struggente la frase con la quale, subito dopo che l'uomo e la donna avevano tradito la sua fiducia e si erano nascosti, il Signore Dio li chiamò dicendo loro: "Dove siete?", Ayeka in ebraico.

Tutto ciò che Dio dice attraverso la Scrittura può essere interpretato come l'eco di questo grido Ayeka –“Dove sei”? che proferì quel giorno per la prima volta. Fin dalla chiamata di Abramo e durante tutte le migliaia di anni in cui Dio ha cercato incessantemente di instaurare un rapporto duraturo di alleanza e di amicizia con l'umanità, ha continuato a ripetere questo Dove sei? Ogni giorno, anche ora, in questo istante, il Signore continua a chiedere a ciascuno di noi: Dove sei?

Ecco, io sto alla porta e busso;

Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi;

Tutto il giorno ho steso le mani per un popolo ribelle e disubbidiente.

Attraverso la Scrittura Dio ci cerca, ci aspetta, ci visita dietro le nostre porte chiuse per lottare con i nostri dubbi su di lui; non è scoraggiato se non lo riconosciamo; non è risentito se lo abbiamo tradito o ignorato. Instancabilmente, con tenerezza, pazienza, ci insegna ad amarlo e ad avere fiducia in lui.

Purtroppo, in risposta alla chiamata, l'appello, e il desiderio di Dio, ci ritiriamo, rimaniamo ripiegati su se stessi, sospettosi, impauriti. Rispondiamo come fece Adamo: ‘Ho sentito la tua voce nel giardino, ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”.

Uno degli aspetti più consolanti della solennità odierna proviene dall'icona che ci è presentata, quella di un essere umano che non ha paura di Dio, non si nasconde da lui, e non lo ignora. Maria è stata benedetta con una costante apertura al Signore e continuò a fidarsi di Lui anche quando non capiva, anche quando ciò che il Signore stesso le aveva dato le fu tolto. L'espressione un po’ sibillina con cui si designa questa solennità, 'Immacolata Concezione', è semplicemente un sinonimo della parola con la quale l’angelo la saluta: “Ti saluto, o piena di grazia”. Maria è la kekaritomene, la “generosamente graziata’, la creatura che -a differenza di Adamo ed Eva- non ebbe paura di essere nuda alla presenza di Dio. Potrei sembrare leggermente irriverente, mi piace pensare che kekaritomene, la “generosamente graziata’, significa anche “Colei che è nuda senza vergogna”.

Quando entrai in monastero a 18 anni, fui non poco sorpreso quando un anziano ed altrimenti saggio monaco, un giorno durante la confessione mi disse che dovevo coprire le immagini di santi e della Madonna nella mia cella monastica quando mi toglievo i vestiti prima di andare a letto la sera. La nudità secondo lui era offensiva per i santi. Certamente non lo è per Dio, almeno se crediamo alla lettera agli Ebrei, quando dice che “essere nudi ed esposti agli occhi di Dio” è il segno che stiamo accogliendo la sua Parola nel modo giusto (Eb 4,12).

Così, oggi, attraverso la sua Parola, il Signore continua a chiederci: Dove sei?

La nudità assume molte forme. Tutte hanno in comune che ci sentiamo vulnerabili, in colpa, e proviamo vergogna. Questo potrebbe essere comprensibile nei nostri rapporti con l'altro, ma non con Dio.

E’ morto nudo, e quindi ci capisce.

Non c'è motivo per noi di nasconderci da lui, che sia a causa della nostra colpa, della nostra solitudine, delle nostre paure o, come per Gesù, dei nostri fallimenti. Anche nelle aree della nostra vita in cui ci nascondiamo da noi stessi, ora possiamo lasciare entrare Dio e permettere che si occupi lui di rassicurarci e di conquistare la nostra fiducia.

Pazientemente, il Signore sta alla porta e bussa. Ciò che consideriamo come l'assenza del Signore è una forma di rispetto per noi, la sua preoccupazione di non imporsi, la sua paziente attesa alla nostra porta. Al Signore che ci chiede: Dove sei? abbiamo un esempio nel modo in cui Maria non si è nascosta da lui, ha vinto la sua paura e ha risposto liberamente: Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua Parola.




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