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  • Writer's pictureLuigi Gioia

Trovare la vita

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Una delle più insidiose contaminazioni del messaggio evangelico avvenne molto presto nella storia del cristianesimo attraverso l'influenza di una popolare corrente filosofica, lo stoicismo. Più che una semplice filosofia, lo stoicismo era una saggezza, cioè un modo di vivere in armonia con il cosmo, di neutralizzare l'amarezza, la frustrazione e la rabbia e di cercare la pace interiore. Il principio fondamentale dello stoicismo è racchiuso in una frase attribuita al filosofo romano Seneca, Ducunt volentem fata, nolentem trahunt, "Il destino conduce chi lo asseconda, trascina chi gli oppone resistenza". Anche se non abbiamo il controllo sulla maggior parte di ciò che accade nella nostra vita, possiamo serenamente decidere di abbracciare sia gli eventi positivi che le disgrazie con serenità. Questo non è un invito alla rassegnazione ma a credere che anche se non si capisce sempre come, tutto alla fine contribuisce all'armonia cosmica. Secondo lo stoicismo, ogni volta che malattie, incidenti, dissesti finanziari, disastri naturali si abbattono su di noi, invece di cercare invano di nuotare controcorrente, dovremmo semplicemente accettare che è il nostro destino, o, come talvolta diciamo, "la nostra croce". Era naturale per i primi cristiani interpretare l'invito di Gesù a rinnegare noi stessi, prendere la nostra croce e perdere la nostra vita in questa luce - e siamo ancora tentati farlo oggi. Non è questo lo stato d'animo espresso nel famoso slogan Keep calm and carry on, “Mantieni la calma e vai avanti”? Il modo corretto di affrontare le avversità è l'autodisciplina, la forza d'animo, la calma e l'autocontrollo emotivo.

In realtà, è possibile interpretare l'esortazione di Gesù a prendere la nostra croce non come un'ingiunzione ma come un modo per consolarci. L'elemento decisivo in questa pagina del vangelo è accennato nella reazione di Gesù a Pietro, spesso tradotto "Allontanati da me". La traduzione letterale è invece "Mettiti dietro di me" e risuona con la frase che segue nella quale Gesù non dice semplicemente che dovremmo prendere la nostra croce, ma aggiunge significativamente "E seguimi". Questo è ciò che rende questo invito completamente diverso dalla fortezza stoica. Gesù ci assicura che quando affrontiamo le inevitabili sofferenze e prove della nostra vita lui è con noi. Siamo impotenti contro le avversità e lasciati a noi stessi "perderemmo la vita". Perché siamo con lui e lo seguiamo, le nostre vite vengono salvate, nel senso che lui viene in nostro soccorso.

Gli stoici credono di poter contare solo sulle proprie forze e sono orgogliosi della loro forza d'animo. I cristiani potrebbero fare altrettanto e tuttavia non si accontentano semplicemente di sopportare le sofferenze. Non credono che la sofferenza abbia un significato di per sé o sia parte dell'armonia cosmica. Come ogni altra forma di male, la sofferenza non ha senso, non dovrebbe accadere, non avrebbe dovuto far parte della creazione voluta da Dio Padre. In questo senso ha ragione Pietro quando dice a Gesù: “Questo non deve accaderti mai”. Questo non deve accadere mai a nessuno: questo è ciò che desideriamo per noi stessi e per ogni persona umana. Allora perché Gesù dice che, volendo prevenire la sofferenza, Pietro, e noi stessi con lui, “non pensiamo secondo Dio”? Ciò che è “secondo Dio” per Gesù non è la sofferenza, ma la croce - e non qualsiasi tipo di croce, ma la croce che portiamo con lui. Allo stesso modo, ciò che è “secondo Dio” non è 'perdere la nostra vita' ma trovarla nel modo pieno e significativo in cui può essere data solo da Gesù: "Chi perde la propria vita per causa mia la troverà" - sì, in questa frase Gesù ci chiede non di perdere la vita ma di trovarla!

Non dobbiamo vergognarci di riconoscere che abbiamo paura del dolore, della malattia e delle avversità. Anche Gesù aveva paura. Questo è il motivo per cui reagisce così violentemente al suggerimento di Pietro. Sa che ci sono persone che hanno deciso di umiliarlo e di ucciderlo. Sospetta di poter essere tradito da alcuni dei suoi amici più cari. È consapevole della brutalità delle condanne a morte, sia per lapidazione che per crocifissione.

Ciò che lo spinge verso Gerusalemme, dove sa che tutto questo gli accadrà, non è una rassegnazione stoica al suo destino ma la convinzione che la violenza e l'odio che stanno per abbattersi su di lui sono impotenti contro la sua fiducia nel Padre e il suo amore invincibile per noi. Alla fine, non va a Gerusalemme per morire, ma per risuscitare, così come non ci viene chiesto di perdere la vita ma di trovarla.

Quando una madre sta per partorire, non concentra la sua attesa sul dolore che questo le causerà, ma sulla vita che ne deriverà. Questa è la croce per Gesù e con Gesù, questo è “prendere la nostra croce”: fissare gli occhi sulla vita che ci attende nonostante ogni sofferenza e dolore perché restiamo saldi nella nostra fiducia in Dio e nel nostro amore per gli altri. I Padri della Chiesa vedono la croce come un simbolo: l'asse verticale è la fiducia che guarda verso Dio e l'asse orizzontale è l'amore che abbraccia ogni persona umana.

La fiducia e l'amore non riducono il dolore ma impediscono che ci schiacci. Quando soffriamo siamo tentati dalla disperazione e comprensibilmente siamo così assorbiti dal nostro dolore che potremmo diventare incapaci di rimanere in contatto con gli altri. La sofferenza senza fiducia e amore può intorpidire e isolare le persone, svuotarle di tutte le loro energie e portarle alla disperazione. Questo è il motivo per cui la frase di Gesù non è un'ingiunzione, ma ha lo scopo di confortarci e di darci forza. Qualsiasi tipo di sofferenza, disagio, avversità, dolore, sia fisico che psichico ed emotivo, può diventare 'croce' se continuiamo ad avere fiducia e ad amare, non contando sulla nostra forza d'animo, ma sulla consapevolezza che il Signore è con noi e che è fedele. Prendendo cosi la nostra croce con lui non perdiamo la nostra vita, ma la troviamo.



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