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  • Writer's pictureLuigi Gioia

Uscire dalla solitudine

"Siamo prigionieri della nostra solitudine, tentati di credere che la nostra vita non abbia valore agli occhi di nessuno, che sia senza senso, che vada alla deriva, che non conduca da nessuna parte".

Is 35,4-7a; Sal 146,6c-7.8-9a.9b-10; Gc 2:1-5; Mc 7,31-37


Uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, Gesù venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli (Mc 7,31). Questo dettaglio geografico non va letto come una mera transizione tra un episodio evangelico e l’altro ma come espressione della buona novella. Gesù esce, passa, viene, non si ferma mai. Si dirige certo verso Gerusalemme, ma questo suo costante peregrinare ha anche un altro obiettivo, quello di venire alla nostra ricerca, di raggiungerci ovunque.

Gesù non incontra il sordomuto del vangelo di oggi per caso. Lui che ha contato i capelli del nostro capo (Mt 10,30; Lc 12,7), che ci scruta e ci conosce (Sal 139), che ci ha chiamati ciascuno per nome fin da prima della fondazione del mondo, attende il momento favorevole per venirci incontro. Se non lo sentiamo arrivare è perché siamo sordi e anche se lo riconosciamo, non possiamo attirare la sua attenzione perché siamo muti.

E’ una maniera di dire simbolicamente che siamo senza speranza, non attendiamo più nulla, prigionieri del nostro isolamento, della nostra solitudine, tentati di credere che la nostra vita non abbia valore agli occhi di nessuno, che sia senza senso, che vada alla deriva, che non conduca da nessuna parte. Ecco perché la buona notizia è che Dio viene a salvarci: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi (Is 35,4), cioè viene a cercarci e non si da pace fino a che non ci raggiunge, non ci trova, non ci restituisce la possibilità di sentirlo e di potergli rispondere.

Il miracolo del sordomuto è quindi un simbolo del risanamento di cui abbiamo bisogno per poter anche solo percepire l’arrivo e la presenza del Signore nelle nostre vite. In questo somiglia a molti altri miracoli di Gesù, con una differenza significativa però riguardo alla sua modalità. Per la maggior parte degli altri miracoli a Gesù basta una parola, o toccare o, come nel caso dell’emorroissa, essere toccato. In questo caso invece assistiamo ad una procedura di guarigione molto elaborata: Gesù prende il sordomuto in disparte, lontano dalla folla, gli pone le dita negli orecchi, con la saliva gli tocca la lingua, guarda verso il cielo, emette un sospiro, e infine dice: Effatà, cioè Apriti! (Mc 7,33-34). La formula di guarigione non è: “Parla” o “Senti”, come avrebbe dovuto dire a un sordomuto, ma è: Apriti! (Mc 7,34)

Prima ancora che dalle nostre infermità, ciò da cui abbiamo bisogno di essere guariti è la chiusura del nostro cuore: Fino a quando terrete chiusi i vostri cuori? (cf. Sal 95,7s) Per aprire il cuore ci vuole un miracolo, perché ne siamo incapaci, a tal punto che anche dopo che il Signore lo ha aperto dobbiamo continuare a tenerlo aperto ogni giorno: Oggi non indurite il vostro cuore (Sal 95,8). Se dunque la procedura di questo miracolo è così elaborata è proprio per mostrare che non c’è niente di più difficile che aprire il nostro cuore. Far camminare un paralitico, far vedere un cieco, guarire dalla lebbra non è difficile per il Signore: quello che Dio ha plasmato in un attimo al momento della creazione può risanarlo in ogni istante. Invece, guarire la chiusura del cuore è una sfida anche per lui. Lo afferma lui stesso quando dice che non vi è perdono per la bestemmia contro lo Spirito Santo (Mt 12,31-31; Mc 3,29; Lc 12,10), che è proprio questo: il rifiuto dell’azione di salvezza di Dio, la chiusura alla comunicazione, alla comunione con lui.

La guarigione del sordomuto necessita una ‘apertura’ perché ciò che ci rende incapaci di ascoltare il Signore e di rispondergli e il rifiuto della relazione con lui, la chiusura del nostro cuore. Teniamo le nostre labbra ostinatamente chiuse, siamo muti per la preghiera, non ringraziamo, non invochiamo il Signore. Per questo la guarigione dalla chiusura del cuore non è semplicemente il fatto di permettere nuovamente alle orecchie di sentire o alle corde vocali di emettere suoni. Occorre un miracolo analogo a quello della creazione che per questo nuovamente richiede l’intervento delle dita di Dio, della sua saliva, del suo soffio: tutti elementi presenti nel racconto della creazione di Adamo ed Eva. Aprire il nostro cuore richiede una nuova creazione, una risurrezione.

Non ci rendiamo conto di quanto le nostre attività, le nostre preoccupazioni, il nostro essere permanentemente indaffarati siano come i rovi di cui parla il vangelo che soffocano il seme della relazione con il Signore. E quando la relazione soffoca, siamo asfissiati anche noi con essa, fino a che il Signore non ci riconduce a se, non ci fa respirare nuovamente con il suo stesso soffio, non riapre le nostre orecchie, non scioglie la nostra lingua, non ci fa respirare nuovamente all’unisono con lui.





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