"Spesso il male che ci facciamo è il risultato delle dinamiche che accompagnano la vita in comune e che è importante imparare a disinnescare, a sdrammatizzare, diventando capaci di trovare vie d’uscita. Disinnescare le dinamiche negative e sdrammatizzare possono essere due modi di tradurre ‘porgere l’altra guancia’".
L’espressione “porgere l’altra guancia’ è diventata parte del linguaggio comune per riassumere l’aspetto più utopico del cristianesimo. I più critici vi vedono una passività inaccettabile nei confronti delle ingiustizie. Basta pensare all’effetto che tale frase poteva avere quando vi era ancora la schiavitù: la religione diventava un mezzo per prevenire ogni forma di ribellione contro una violazione assolutamente intollerabile della dignità umana.
Non è sicuro che questa sia però l’interpretazione corretta della famosa frase di Gesù: “A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra” (Lc 6,29). Invece di vedervi un invito alla passività, questa frase afferma l’esatto contrario. Il cristiano ha il dovere di combattere il male e ogni forma di ingiustizia, sia quando inflitti ad altri che quando è lui stesso a subirne le conseguenze. La lotta per la giustizia però deve sapersi fare creativa, innovativa, strategica e intelligente.
E’ inevitabile nella vita incontrare situazioni in cui altre persone diventano nostri nemici, ci detestano, ci fanno del male, o ci infangano. Ci sono casi nei quali si tratta di persone che agiscono negativamente nei confronti di tutti, hanno adottato duplicità e malizia come mezzi per sopravvivere o imporsi. Nella maggior parte dei casi però, coloro che sono nostri nemici oggi erano stati nostri alleati in passato o spesso ad un certo punto, dopo lunghi periodi di ostilità, ridiventano nostri amici. Questo vuol dire che i nemici assoluti non esistono o sono rarissimi. Le persone restano le stesse, ma a causa di situazioni incresciose, debolezze, errori e talvolta egoismo ci feriamo reciprocamente, siamo causa di dolore gli uni per gli altri, diventiamo avversari gli uni degli altri. Ciascuno di noi in un momento o nell’altro della propria vita è stato percepito come nemico da qualcun altro, ha maltrattato altre persone. Quindi spesso il male che ci arrechiamo reciprocamente è il risultato inevitabile delle dinamiche che accompagnano la vita in comune e che è importante imparare a disinnescare, a sdrammatizzare, diventando capaci di trovare vie d’uscita.
Disinnescare le dinamiche negative e sdrammatizzare possono essere due modi di tradurre ‘porgere l’altra guancia’. Non è passività, ma rifiuto di lasciare che la sofferenza per il male subito ci annebbi la vista, invada tutto il nostro cuore, condizioni i nostri sentimenti e ci conduca alla rassegnazione o al cinismo. Succede che persone ci detestino, ma se restiamo decisi a seguire il consiglio di Gesù: “Fate del bene a quelli che vi odiano” (Lc 6,27), non permettiamo al dissidio del momento di condizionare la nostra reazione. Chi ci detesta giustifica la sua ostilità attribuendoci intenzioni negative, rappresentandoci come dei nemici. Se però, malgrado il dolore o la tentazione del risentimento, restiamo decisi a non fare del male e a cogliere anzi le opportunità di fare del bene a chi ci odia o fa del male , l’avversario non potrà non sentirsi messo in discussione e aprire così lo spiraglio che conduce alla riconciliazione.
Davide è un esempio di questo atteggiamento quando gli si presenta l’occasione di vendicarsi di Saul che ha tentato di ucciderlo e lo perseguita. Potrebbe inchiodarlo “a terra con la lancia in un sol colpo” (1Sam 26,8) ma rifiuta di farlo. Non si limita però ad andare via, ma prende la lancia e la brocca d’acqua che si trovano dalla parte del capo di Saul per avere una prova della sua magnanimità nei confronti del re. Coglie l’occasione per capovolgere la situazione e convincere Saul a non considerarlo come un nemico, per dimostrargli la sua buona fede. Questo è un modo davvero evangelico di ‘porgere l’altra guancia’, vale a dire di cercare un’altra via, di farsi inventivo, di diventare anche strategico, per mettere fine al conflitto.
Nella guerra sono tutti perdenti. Lo stesso vale per ogni conflitto personale, piccolo o grande che esso sia. Il Vangelo non è utopico. Il modello che propone può anzi essere considerato come il più creativo e intelligente dal punto di vista anche politico (nel senso buono del termine). Per mantenere e promuovere la pace occorrono tatto, buona volontà, disponibilità, pazienza nel saper attendere il momento giusto, per cogliere l’occasione giusta. Ne vale però la pena. Poche altre cose danno gioia più grande di una riconciliazione vera e profonda con qualcuno con cui abbiamo avuto un conflitto. Farci benevoli e scegliere la misericordia in questo modo permette al Padre di compiere la sua promessa: versare la buona misura, “pigiata, scossa e traboccante” (Lc 6,38) della sua pace nei nostri cuori e far trionfare il suo regno di giustizia e di bontà.
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